La filosofia, secondo un celebre motto di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, è la nottola di Minerva, che esce solo sul far della sera, quando tutto è accaduto, a ricapitolare il senso degli eventi e a confermare nella gloria del concetto le decisioni dello Spirito del mondo.
Se una volta anche al più insignificante dei suoi cultori (non di Hegel certamente, ma della filosofia) fosse concesso di incarnare per un attimo lo scricciolo di Fosforo, quello che vi risveglia all’alba, forse il suo canto questa mattina direbbe così, senza sapere quel che avverrà di qui a poche ore.
L’anima è un nonnulla. Solo quest’ora è data, ancora intatta, in cui l’anima si è appena risvegliata da un incubo di morte, e ancora teme di ripiombarvi. Se vi sembra che “morte” sia una parola troppo pesante per il nonnulla di piume arruffate che è uno scricciolo, ebbene di questo nonnulla è fatta l’anima, e che possa morire lo sappiamo bene.
La morte dell’anima è la mortificazione delle idee, soprattutto se queste idee sono degli ideali. I giorni passati -che dico: i mesi, e gli anni, e i lustri, e i decenni- sono passati sugli ideali come schiacciasassi. Come schiacciasassi sul pennacchio dell’Europa, che è la sua Idea. E che, come ogni idea, è un eccesso sulla realtà. È l’eccedenza del diritto sulla forza, e della ricerca sul luogo comune. E quindi è l’ideale dell’imperio della legge dove c’era la selva delle potenze, e dei dolci lumi della ragionevolezza dove c’erano gli idoli delle tribù, che siano idoli ideologici o identitari.
Ma se andiamo più a fondo, è l’esercizio di una virtù in lotta con l’arbitrio peggiore, quello che ciascuno si porta dentro insieme al giusto orgoglio del suo libero arbitrio. Che volentieri si fa puro arbitrio, ferino. Si fa egolatrica menzogna ammantata di costumi rinascimentali come quelli delle sagre italiane estive, si fa machiavellismo ignaro del suo fine – le libere repubbliche – e perciò falso come quei costumi.
Abbiamo sentito Renzi, che ha passato i suoi anni migliori a sfasciare gli ostacoli al suo arbitrio, chiamare sé stesso conciliatore e tessitore di alleanze, lo abbiamo udito lodare pubblicamente un principe accusato di assassinio: e tutto questo in nome di condivisibili ideali, che è come iniettargli dentro veleno puro, agli ideali, per il banchetto dei cinici. E allora, l’esercizio di virtù contro l’arbitrio?
Umiltà l’ha chiamata Draghi, uno dei migliori italiani cosmopoliti (una genia antica, che riscatta agli occhi del mondo tante pulcinellate nostre nell’arco dei secoli). L’umiltà è questo esercizio di legare e contenere l’arbitrario in noi, sì, anche quella degli animal spirits quando è necessario.
Ma non con il cilicio: con l’attenzione al vero.
Perché questa è la sola forza in grado di convincere l’arbitrio a seguire ciò che è giusto invece che ciò che conviene subito, e quello che serve a tutti invece che quello che serve solo a me.
Draghi questa attenzione al vero l’ha chiamata col nome di un’altra virtù: competenza. E per una volta è parso – oh lo si può ancora dire all’alba, nell’ora ancora intatta – che il bene sia veramente diffusivo di sé, come credevano gli antichi.
Perché Giuseppe Conte, cui giovò forse la sofferenza della prova ed errore (un altro metodo molto europeo, lo inventò un pisano di nome Galileo) ha risposto all’elogio dell’umiltà con un gesto che pare di nobiltà. Un gesto signorile, se offre un vincolo all’arbitrio reazionario del risentimento e del rancore dei masanielli, e un’unità possibile a quelli cui bene o male sta a cuore un po’ più di giustizia, rossi o gialli che vogliano chiamarsi, e in questa direzione riequilibra il tavolo altrimenti assai sghembo su cui saranno prese le decisioni per tutti.
E infine non si è negato una battuta fulminea e fulminante: «i sabotatori cercateli altrove».
Certo sarebbe un sogno se ce la facesse, Draghi: convinto che l’Europa vera, l’Europa più simile alla sua idea, e più unita al di sopra delle nazioni, sta rinascendo oggi da una crisi di civiltà (come lo credette ai suoi tempi Altiero Spinelli).
Ma anche che o l’Italia si salva con lei, o la perde con sé stessa. Nell’ora ancora intatta perfino gli scriccioli lo possono dire, perché il coraggio è la virtù in cui l’anima mortificata rivive. Coraggio, presidente. È la terza virtù che lei ha evocato: e ne abbiamo davvero tutti bisogno.
Domani, 6 febbraio 2021