QUANDO IL LIBERALISMO DIVORZIÒ DALLA NAZIONE, IL SAGGIO DI YAEL TAMIR

14 Settembre 2020

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Le vicende del nazionalismo sono intrecciate a quelle del liberalismo e della democrazia, scrive Yael Tamir in questo utilissimo e bel libro, recentemente tradotto in italiano con la prefazione di Dani Rodrik. La “invenzione” della nazione ha fatto da sostegno alla democratizzazione dello stato costruendo una barriera contro le diseguaglianze di classe generate dal capitalismo. Ha permesso la costruzione del “noi politico” cementando il senso di solidarietà e di progetto comune. Il divorzio del liberalismo dalla nazione ha gereato mostri, scrive l’allieva di Isaiah Berlin al quale questo libro è dedicato.

Conosciamo l’esito fascista e nazista dell’aberrazione identitaria e razzista della nazione. A partire dalla fine della Guerra fredda, abbiamo sperimentato un’altra faccia di quel divorzo: l’individualismo iperglobalista e l’ideologia della società senza frontiere, del superamento degli stati, della fine della cooperazione fra nazioni. Questo è l’orizzonte del nostro tempo (ingigantito dalla pandemia) che si mostra anche nell’indifferenza crescente per le sorti della democrazia. L’iperglobalismo ha sradicato la libertà economica dalla sua funzione civile e ha eroso i poteri degli stati democratici, il senso di solidarietà e di progettualità distributiva. Ha inaridito le condizioni della democrazia, che perde valore agli occhi dei suoi cittadini se la distanza tra ideale e reale appare insormontabile. Dunque, il «nazionalismo xenofobo » e il «neoliberismo brutale» sono segni opposti/identici della frattura tra nazionalismo e liberalismo.

Tamir ricava quattro lezioni da questi vent’anni di iperglobalizzazione: a) le conseguenze di un divorzio tra mercati e sistemi politici ricadono sui meno abbienti, in termini di maggiori rischi e minori opportunita; un esito di ciò è che le classi medie reagiscono alle richieste dei più vulnerabili con il “nazionalismo dei benestanti” e il divorzio dalla nazione larga; b) la distanza tra processi decisionali locali, regionali, statali e globali esaspera il deficit di democrazia – il potere crescente delle multinazionali rende “disperante” l’aspirazione individuale per la maggioranza delle persone; c) i sentimenti di frustrazione e di risentimento ingigantiscono le fratture sociali e alimentano il “nazionalismo dei vulnerabili”, che politici populisti e xenofobi sfruttano ad arte; d) la separazione tra cultura e politica lascia le culture alla mercè dello sfruttamento economico, unico fine al quale tutto il sapere si genuflette.

Come rispondere a questa lacerazione? La frattura tra élite privilegiate (i “giramondo”) e le masse (che hanno bisogno di legarsi al proprio paese o di trovarne uno per sopravvivere) ha dimostrato la capacità distruttiva dell’iperglobalismo. Ma ha fatto anche intravedere la possibile risposta: la rivitalizzazione di quello stato che il mercato globale ha umiliato; ad esso si deve ritornare per creare infrastrutture e investimenti programmati per lo sviluppo delle società nazionali.

«Sono finiti i tempi dello stato snello, ridotto al minimo, che non deve far altro che sviluppare le capacità e astenersi dall’interferire » nella lotta per il successo. Questa esigenza di progettualità pubblica viene in soccorso ai «fallimenti delle mani invisibili », e rilancia il ruolo della politica che è progetto. Promozione di giustizia ed equità non è una massima buonista ma una regola per il reciproco vantaggio: «occorre che i potenti comprendano che una rinuncia ai loro privilegi è anche nel loro interesse». Non la filantropia e la carità, dunque, ma il «costruire reti di sicurezza sociale fondate sui diritti, e non soltanto sull’empatia».

 

la Repubblica, 18 agosto 2020

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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