“Pulite l’aria! Sciacquate il cielo! Lavate il vento! Smurate/ pietra da pietra e lavatele tutte/. La terra è infetta, l’acqua è infetta”: nella traduzione di Primo Levi, Cori da Assassinio nella cattedrale di T.S. Eliot. Mi manda questi versi la mia amica Laura Barile, dal suo isolamento in San Frediano. Lei ne aveva parlato in una lezione su “Le radici di Primo Levi”. Io li estrapolo e la forza della poesia insieme al fascino profetico mi lasciano sbalordita.
Non è quello che vorremo riuscire a fare, noi prigionieri del virus, lavare il vento e pulire le pietre e l’ aria? Non è quello che pensiamo, che la terra sia infetta tutta quanta, e che soltanto la grandissima poesia sia in grado di darci sollievo? Lavare il vento per rinascere e rinascere da queste pietre antiche e “lavate”.
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Un giorno (ero molto giovane, saranno stati i primi anni Cinquanta) mi trovai per la via Vecchia Fiesolana dove era atteso il sindaco di Firenze Giorgio La Pira che aveva deciso di occupare una vecchia villa (la prima sulla destra, salendo da San Domenico) per destinarla agli sfollati. Ma quando tutto era già pronto ecco volar giù da Fiesole il sindaco che rivendica la sua giurisdizione: «Qui siamo nel comune di Fiesole! Fermati!» grida. La Pira non ha nessuna esitazione, dà una spallata e spalanca la porta cadente dell’edificio. «Il regno di Dio non ha confini!» esclama con quel suo sorriso (da Santo?) un po’ burlone. La villa fu occupata in pochi istanti.
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Avevano, quasi tutti, una personalità speciale, i politici che guidarono questa città e la sua rinascita nel dopoguerra. Sempre La Pira, negli anni delle persecuzioni, aveva fatto da padrino al “battesimo” di un mio cugino ebreo di madre e di padre. A quel tempo i politici, ferrei nelle loro ragioni, rispettavano però quelle degli altri. Laici, cattolici, fanfaniani, comunisti, socialisti. La cultura, a Firenze, veniva prima di tutto. L’arte, la poesia, la letteratura.
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Tradire le arti per un calcolo di opportunità sarebbe stata una vergogna non soltanto personale. Oggi quella storia può ancora servirci? O quando si sente nominare la cultura si pensa soprattutto a qualcosa di diverso, di fragile e ambiguo, come i sontuosi e molto remunerativi matrimoni in riva d’Arno?
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Nel giardino di Boboli, vicino alla Vasca dell’ Isola, da tempo nidifica un airone. Lo sanno i bambini e i nonni che lo aspettano e lo salutano. Lo sanno Niccolò e Antonio. Qualche giorno fa l’airone è venuto a trovare le colombe bianche di Santo Spirito. Un volo breve, a cui ho assistito, uno svolazzare solenne, e poi è tornato alla sua vasca. Forse un incoraggiamento per aprile, il più crudele dei mesi. Già, chiedeva T.S. Eliot: «Quali sono le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono / da queste macerie di pietra?».
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la Repubblica Firenze, 4 aprile 2020