È necessario oggi tornare a parlare di politica, di buona politica: per troppo tempo essa è stata chiusa all’interno delle stanze del potere, appannaggio esclusivo di una classe dirigente che ha perso la fiducia dei cittadini e agisce sempre più con logiche corporative e autoreferenziali.
La deriva personalistica della politica ha prodotto danni enormi, e non solo di carattere economico. Il danno maggiore imputabile all’idea di politica come strumento di guadagno e privilegio è quello di aver eroso progressivamente il processo democratico.
I partiti, sempre più concentrati nella difesa del proprio potere, si sono allontanati dalla società, dalle sue istanze, dalle sue esigenze. Più interessati a conservare le proprie rendite, hanno smesso di ascoltare e dialogare con la base. Hanno rinunciato ad offrire una propria peculiare visione della realtà e soprattutto una prospettiva per il futuro.
Dal canto loro, i cittadini sono sempre più delusi e disgustati da questo modo di fare politica, così lontano dai bisogni reali e, come abbiamo ad esempio visto con gli ultimi scandali che hanno coinvolto Regioni e Comuni, distante anni luce da ogni senso di moralità ed etica pubblica.
La risposta a questa crisi non può però essere il rifiuto della politica e l’abbandono dei partiti: i partiti sono infatti uno strumento indispensabile per la vita democratica, poiché rappresentano l’anello di collegamento tra la società civile e le istituzioni, il luogo in cui le istanze provenienti dal basso vengono recepite, elaborate e poi tradotte in risposte concrete a bisogni reali. La democrazia si fonda e si nutre del dialogo tra governanti e governati, tra rappresentanti e rappresentati. Senza di questo, è ridotta a mera questione tecnica, e si esaurisce nell’inserimento di una scheda nell’urna ogni cinque anni. Ma la democrazia non è una questione tecnica: è una questione sostanziale.
Per questo è necessario rifondare oggi una buona politica, che ripristini il dialogo e la partecipazione, e ridia sovranità ad una cittadinanza che si sente esclusa dalle scelte che la riguardano. In primo luogo, è necessario che sia rivisto il sistema di finanziamento pubblico ai partiti, che va fortemente ridimensionato e reso il più trasparente possibile, e che vengano applicate misure sanzionatorie per i trasgressori. Sarebbe inoltre opportuno prevedere meccanismi trasparenti e limitati di finanziamento da parte di privati cittadini, in modo da legare il partito al suo elettore-potenziale sostenitore in un rapporto di fiducia e collaborazione. E ancora, è fondamentale riformare i meccanismi interni ai partiti, attraverso il varo di una legge che li obblighi, secondo quanto previsto dall’art. 49 della Costituzione, a regole di funzionamento democratiche e partecipative. Per questo motivo LeG è convinta dell’importanza delle primarie come strumento di confronto e attivazione democratica, e come mezzo per riportare tra la gente decisioni troppo a lungo rimaste nelle segrete stanze del potere.
A questo si lega ovviamente anche il tema della riforma della legge elettorale, quanto mai urgente e necessaria per il pieno funzionamento della nostra democrazia. L’attuale legge infatti è uno strumento di potere in mano ai partiti e bisogna evitare che la nuova legge elettorale attualmente in discussione in Parlamento si risolva in un mutamento di facciata che continui a privare i cittadini del diritto di scegliere i propri rappresentanti e non consenta la formazione di coalizioni omogenee e stabili.
Dopo la legge elettorale è necessario affrontare il tema delle riforme costituzionali, in particolare la forma di governo e il rapporto tra poteri centrali e locali dello Stato, considerata anche la crisi istituzionale e morale del sistema delle Regioni e la difficoltà di impiantare in Italia un modello federalista.
Da questi elementi – trasparenza dei finanziamenti ai partiti, democrazia interna, primarie, riforma della legge elettorale, riforme costituzionali – può rinascere una buona politica, che ponga al centro l’esercizio della sovranità popolare e faccia in modo che i governanti non rispondano più ai vertici del partito, ma ai cittadini che li hanno scelti e votati.
È il principio di responsabilità, che questa concezione personalistica e verticistica della politica ha completamento annientato: eppure è fondamentale che la buona politica si nutra di buoni principi. Proprio perché la democrazia è un fatto sostanziale, è necessario che si fondi su valori democratici ad ogni suo livello. Così come non c’è democrazia senza pratica democratica, non c’è buona politica senza buona governance: ossia senza l’adesione a valori come l’etica, la trasparenza, la responsabilità, la valorizzazione delle competenze e delle capacità, il rispetto dei diritti umani. Ed è dal basso, dal livello locale, che si costruisce questo modello. Le amministrazioni locali possono e devono svolgere un ruolo fondamentale nel rafforzamento dei processi democratici e della coesione sociale. Gli strumenti per fare questo esistono, come ad esempio l’adesione alla Strategia per l’innovazione e la buona governance a livello locale promossa dal Consiglio d’Europa, una carta di dodici principi che non si limita ad essere enunciazione sterile di generici valori, ma si propone come strumento effettivo attraverso cui modellare l’amministrazione del territorio in un’ottica di partecipazione della società civile alla vita pubblica.
LeG Molise, che non rinuncia alla cornice europea ritenendola anzi indispensabile per uscire dalla crisi in cui versa l’Italia, guarda con favore alla possibilità che le nostre istituzioni locali aderiscano a questa Strategia, che rappresenta un modo concreto per migliorare la vita delle nostre comunità e la qualità dello sviluppo dei nostri territori.