Così Renato Brunetta: “Renzi faccia un governo con noi, centrodestra unito Sui programmi con Italia Viva c’è quasi perfetta coincidenza”. È significativo che lo si consideri plausibile. Sin dagli albori dell’avventura renziana, da parte dei suoi critici da sinistra, si è evocato il fantasma del “renzusconi”, ossia del connubio tra Renzi e il Cavaliere o della convergenza delle rispettive politiche. Allora, mi parve una ingenerosa semplificazione.
Certo, si avvertivano affinità di natura stilistica e comportamentale: i due si piacevano e soprattutto Berlusconi mostrò simpatia per il giovane fiorentino (il “royal baby”, copyright di Giuliano Ferrara); l’ego ipertrofico di entrambi; un populismo più o meno light; la personalizzazione della leadership. Non però una stretta coincidenza delle politiche. Quelle praticate da Renzi semmai risentivano del mood tardo-blairiano all’epoca in auge nella sinistra europea, in verità, già anticipato da Veltroni primo segretario del Pd. Sia nel modello politico iper-maggioritario e presidenzialista (mirato al bipartitismo), sia nelle policies molto lib e poco lab. Un mood già sfasato e tardivo, quando – Veltroni si insedia nel 2008 – già prendeva corpo la grande crisi, che mostrava il volto problematico della globalizzazione, la quale portava con sé una domanda di protezione, sociale e non, paradossalmente raccolta poi (a suo modo) dalla destra.
Seguì il tempo del patto del Nazareno, a patrocinare il quale concorse significativamente Verdini, l’allora uomo-macchina del Cavaliere. E tuttavia quel dialogo, per sé, ci poteva stare se limitato alle regole e alle riforme istituzionali. Un dialogo che si interruppe per l’elezione al Quirinale di Mattarella, che, a differenza di altri papabili, non dava garanzie a Berlusconi di prestarsi ad avallare una sua via d’uscita dai problemi giudiziari. Ciononostante, chi è stato in Parlamento nella legislatura 2013-2018 sa bene che Forza Italia non fece vera opposizione ai governi Renzi e Gentiloni. A conferma che lo spirito del Nazareno non smise di aleggiare ben oltre il tavolo delle regole.
Non a caso, nello scampolo finale di quella legislatura, FI cooperò con il Partito democratico nel varo del Rosatellum, scritto manifestamente traguardando a una futura maggioranza Pd-FI. Il terremoto elettorale, l’eclatante risultato dei 5Stelle e la sonora sconfitta di Pd e FI fecero naufragare quel disegno. Ma che vi si facesse affidamento è dimostrato da un episodio: l’improvvisa, clamorosa rinuncia di Maroni a un secondo mandato alla guida della Lombardia, con il retropensiero di poter giocare un ruolo chiave nel governo nazionale a venire (si parlava di lui addirittura come premier terzo tra Pd e FI ).
Veniamo all’oggi. Con l’inesorabile tramonto di Berlusconi e la scissione di Renzi, si passa dal connubio più o meno stretto alla sostituzione/successione. Questa volta anche nelle politiche e soprattutto nel posizionamento, che sempre più accredita Italia Viva come nuova Forza Italia. Solo per titoli: sulla giustizia (il voto con la destra sulla prescrizione); sulla guerra al fisco; sulle concessioni autostradali; nell’apprezzamento per il Cavaliere come politico “innovatore” in opposizione alla vecchiezza del Pd; nel giudizio su Craxi (“un gigante”); nella reazione berlusconiana di Renzi alle indagini della magistratura che riguardano lui, i suoi familiari e i suoi seguaci. E anche – va notato – nel reclutamento di parlamentari eletti in altre liste. Una pratica nella quale eccelleva il Cavaliere e, in forma più artigianale, Mastella. Generosamente si accredita Italia Viva come un partito quando, in realtà, allo stato, si tratta di un mero manipolo di eletti protagonisti di una transumanza parlamentare.
Non c’è bisogno di sospettare una liaison tra i due Matteo, basti notare che, dal punto di vista di Salvini, un Ghino di Tacco come Renzi, se non ci fosse, sarebbe da inventare. Uno che, ogni santo giorno, mette in fibrillazione la maggioranza che lui stesso aveva propiziato – ora riesce chiaro – esattamente allo scopo di terremotarla sin dal giorno dopo. Del resto, a rivendicarne il “machiavellismo” è stato lui stesso. La traiettoria e l’approdo di Renzi gettano una luce retrospettiva sulla stagione nella quale fu dominus colpevolmente incontrastato nel Pd: un chiaro deragliamento dal solco dell’Ulivo.
il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2020