Dal nostro corrispondente LONDRA. Con il suo telefonino, Ian McEwan scatta una foto alla folla. E un’altra, e poi un’ altra ancora. Si sporge in avanti per catturare quante più persone lungo Park Lane, di fianco ad Hyde Park, dirette a Westminster per chiedere un secondo referendum sulla Brexit. McEwan è qui dalle 11.30 insieme alla moglie, scrittrice e giornalista Annalena McAfee e ad altre centinaia di migliaia di persone molto meno famose di lui. Non solo: ha pagato di tasca sua il viaggio in autobus a decine di connazionali dalla Scozia e dal Galles per permetter loro di essere qui a Londra a manifestare.
E ovviamente lei non poteva mancare, signor McEwan.
«Ma certo che no. Ha visto quanta gente? Il problema è che molte persone comuni che nel 2016 hanno votato per uscire dall’ Unione Europea non hanno ancora capito i danni e le conseguenze cui andrà incontro il Regno Unito. Dopo il referendum non ho ancora sentito un politico pro Brexit che dice a queste persone che saranno più ricchi. Neanche la premier May. Questa è una delle cose più gravi ed è per questo che oggi siamo qui».
Servirà a qualcosa questa enorme manifestazione?
«C’è una buona fetta di questo Paese che crede che i Remainers (quelli che hanno votato contro l’uscita dall’Ue, ndr) debbano accettare la Brexit in silenzio. Ma ora le cose sono cambiate. A differenza del referendum del 2016, sono venute fuori in maniera evidente le difficoltà e i rischi connessi alla Brexit, almeno per chi partecipa oggi a questa marcia».
Lei crede davvero che sia realistico un secondo referendum? La deadline di marzo 2019 è vicinissima. Non c’ è tempo.
«L’importante, in questo momento, è mettere pressione alla politica e al Parlamento, dove prima o poi si dovrà votare un accordo. Secondo me, abbiamo una possibilità su otto di conquistare un secondo voto popolare sulla Brexit. Ci sono molti parlamentari conservatori del partito di May che potrebbero cedere. Alla fine, vista la fragile situazione politica attuale, il governo potrebbe presto ritrovarsi di fronte alla scelta tra un secondo voto popolare oppure nuove elezioni legislative. A quel punto, May sceglierebbe un secondo voto, ne sono certo».
E se invece la Brexit avvenisse, come è molto probabile? Che cosa ne sarà del Regno Unito?
«Dovremo ricostruire tutto pressoché da zero, vedi i rapporti commerciali con altri Paesi. Ci vorranno generazioni per ritornare alla nostra condizione attuale.
Tutto questo è folle».
Quanta fiducia le è rimasta nella politica britannica?
«Credo sia pessima, quasi quanto quella italiana. Quasi, però».
Non crede più neanche nei laburisti?
«Che enorme delusione il Labour. Non ci ha sostenuto in questa nostra battaglia. Ma del resto, il loro leader Corbyn non ha mai nascosto la sua ostilità verso l’ Europa. E non cambierà idea, soprattutto ora che sente l’ odore del potere. Per lui ora è tempo di calcoli cinici».
E se si avverasse il tanto temuto “no deal”, cioè nessun accordo con l’ Europa?
«Non credo succederà. Alla fine governo britannico e autorità europee troveranno un accordo vago, uno specchietto per le allodole, sono bravissimi in questo. I nodi però verranno al pettine perché il testo dovrà passare per il Parlamento britannico e la maggioranza dei deputati non lo accetterà. Per questo credo che ci sia ancora una piccola, ma forte possibilità di un secondo referendum».
La Repubblica, 21 ottobre 2018