Per dirla con Althusser, una “rottura epistemologica”. Più che la fine di un’epoca, perché il tempo aveva fatto il suo giro da quel dì. Il riferimento è al “Brexit”, e al voto amministrativo italiano foriero di un verdetto chiaro: sconfitta del partito democratico e successo di 5Stelle. I casi più eclatanti Roma e Torino. Sulla Capitale pesavano la terribile vicenda della cacciata dell’ex sindaco Marino e la inquietante questione morale, due colpi da knock out al Pd, già flebilmente commissariato. Certamente, la vittoria di Virginia Raggi ha avuto proporzioni inattese, ma si sentiva per le strade piene di immondizia, bucate, magari attendendo delle mezze ore i mezzi pubblici: l’arrivo di una pioggia manzoniana. Diverse le declinazioni della e nella vecchia cittadella sabauda.
Forse (ma è del tutto vero?) l’amministrazione storica del centrosinistra ha fatto bene. Almeno discretamente. Gradevole alla vista, sottoposta ad un intelligente restyling post-fordista e post-Fiat, la città non sembra nel girone dell’inferno, ancorché divisa tra le due società –i ricchi/ricchissimi versus i poveri/poverissimi- che segnano la situazione di oggi. Ovunque, con la sola differenza della gravità e della percentuale. Dunque, il caso di Torino ha una valenza politica, piuttosto che amministrativa. E’ la sconfitta di Renzi, prima ancora che di Fassino. Ed è, forse, la prova generale dell’aria che tira e tirerà. L’eterogenesi dei fini colpisce ancora. La legge elettorale (Italicum), pensata dal presidente del consiglio-segretario del pd per affermare il predominio del ”partito della nazione”, può rivelarsi un imprevisto favore al movimento 5Stelle. Il secondo turno coagula il consenso trasversale del vasto fronte dei no, destro o sinistro che sia.
Il crescente mondo dei non votanti evoca, però, uno scenario di ancor maggiore realismo. Ecco il punto. Una vastissima parte della società non ha interesse alla politica, quella che abbiamo conosciuto. E’ l’esito della colossale crisi capitalistica causata dal liberismo con un impoverimento di massa pauroso e senza freni. Ma è pure il sintomo di una vera e propria crisi di sistema. Siamo nel pieno dei processi descritti con fine maestria analitica da Paul Mason (2015) e delle previsioni sulla fase “dopo la democrazia”. Troppo facile ed elusivo parlare di populismi, demagogia, irrazionalità… La verità è dolorosa, ma va colta senza infingimenti o fariseismi. La sociologia recente, a cominciare dai teorici di “Podemos”, suggerisce di sostituire la dialettica destra-sinistra con quella alto-basso. Insomma, giusto o sbagliato che sia, questo è il territorio della discussione. La nostra amatissima sinistra-sinistra, purtroppo, appare ormai una sopravvivenza, senza visione e senza futuro.
Naturalmente, ragionare sul voto amministrativo sembra poca cosa di fronte all’esito del “Brexit”. Quante lacrime di coccodrillo. E’ stato un voto lungamente annunciato, cresciuto nei luoghi della povertà e della scarsa informazione dovuta alle furbizie del ceto mediatico. Londra ha resistito al nuovo nazionalismo, ma è una metropoli globale. Come globali sono le generazioni giovani. Il resto ha ceduto alle lusinghe isolazionistiche figlie della globalizzazione a trazione finanziaria. Ha perso l’Europa delle banche e delle tecnocrazie. E’ vero. La slavina, però, travolgerà tutti, se non si ri-costruisce un pensiero alternativo: un’Europa accogliente, soggetto politico e culturale. Non mancano i riferimenti, da Mazzucato, a Piketty, a Prodi. Per citare qualche nome. Qui dentro, forse, potrebbe re-immaginarsi una sinistra moderna, almeno un laboratorio che metta insieme ingredienti teorici ed esperienze di lotta: come i conflitti lunghi e coraggiosi sul lavoro in Francia; come i preziosi luoghi associativi delle porte accanto.
Non dimentichiamo il prossimo banco di verifica: il referendum di ottobre sulla Costituzione è un bivio cruciale. Per decidere con quale tasso di democrazia vivremo.