Italia al suolo con la cementificazione che avanza

19 Febbraio 2018

Fra i record negativi (che abbondano) di questa morente legislatura ce n’è uno che rischia di sfuggire ai radar, tanto si è allontanato dalla pubblica attenzione: il consumo di suolo. Un disegno di legge per contenerlo c’era già, rarissimo lascito positivo dell’era Monti, grazie all’allora ministro Mario Catania.

Eppure, con manovre degne della corte di Bisanzio, i tre governi di sedicente sinistra, mentre fingevano di volerlo rilanciare, sono brillantemente riusciti a insabbiarlo, riscrivendolo mille volte in estenuanti quadriglie, emendamenti, furbizie d’ogni sorta. In compenso, il super-cementificatore Maurizio Lupi, già vituperato dal Pd quando era schierato con Berlusconi, veniva imbarcato fra i padri della patria al governo, e in amorevole duetto con Renzi lanciava il cosiddetto Sblocca Italia, consacrazione e decalogo di chi il suolo lo devasta.

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Il tema venne in discussione ai cosiddetti Stati Generali del Paesaggio, convocati con molte buone intenzioni e poco potere reale dal sottosegretario, Ilaria Borletti Buitoni, il 25-26 ottobre. Qualcuno fece allora notare che, in simultanea, a un passo da Palazzo Altemps dove si svolgeva il convegno, il Senato stava votando la fiducia all’indegno Rosatellum. Perché, fu chiesto allora a Dario Franceschini che era presente, di non mettere invece la fiducia sulla legge contro il consumo di suolo, onde approvarla prima della fine della legislatura? Il ministro dichiarò che era un’ottima idea, e che ci avrebbe provato. Ma niente di fatto: si opposero altri esponenti di spicco del Pd (a quel che pare, l’on. Puppato). 1834 giorni di legislatura non sono bastati a portare la legge in porto. Complimenti.

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Quel che accadrà a valle del 4 marzo nessuno lo sa; quali che siano i veri o finti proclami dei partiti in corsa, i programmi veri salteranno fuori dal cappello dei negoziati e dei compromessi solo se e dopo che si sarà formata una coalizione coi numeri per governare. Perciò tornare su questo tema è come lanciare un messaggio in bottiglia, col rischio che si disperda nell’oceano di chiacchiere in cui il Paese affonda. Proviamoci lo stesso.

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Ricordo solo qualche dato Ispra. 23.000 chilometri quadrati di territorio divorati dal cemento negli anni 1950-2016: il 7,64% della superficie del Paese, più o meno quanto la Lombardia. Tre metri quadrati al secondo, trenta ettari al giorno coperti dal cemento. Ogni giorno, ogni secondo, anche a Natale e a Pasqua, anche mentre leggiamo questo articolo. E il suolo che si consuma è il più prezioso, quello che dovremmo destinare all’agricoltura di qualità, dalla pianura padana alla Campania già felix (cioè fertile). Sei milioni di ettari persi per l’agricoltura, riducendone la produzione con una perdita netta vicina a un miliardo di euro l’anno; per non dire che il cibo che non produciamo più dobbiamo importarlo. Intanto non si arresta l’erosione delle coste, ormai smangiate al 51% (stima Legambiente) da porti turistici, villette, alberghi e resort. La fragilità idrogeologica e sismica del territorio costringe periodicamente a correre ai ripari (3,5 miliardi di costi l’anno secondo Ance-Cresme), senza mai avviare opere di prevenzione. Salvo stracciarsi le vesti a ogni alluvione, esondazione, terremoto, frana, “bomba d’ acqua”, con relativi morti e feriti.

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Perciò un messaggio in bottiglia lanciato alla disperata a chi ci governerà ha alcuni temi d’obbligo. Il degrado dell’ambiente e la crescita a macchia d’olio delle città sono due aspetti complementari, che comportano da un lato enormi perdite di produzione agricola, dall’altro l’agonia delle città storiche, sottoposte a una gentrification che espelle dai quartieri più preziosi i giovani, i vecchi, i meno abbienti, creando nuovi ghetti urbani. Paesaggio urbano, periurbano ed extraurbano vanno concepiti sotto il segno di una superiore unità, che ha bisogno di uno sguardo lungimirante. È intollerabile che solo tre Regioni abbiano provveduto al piano paesaggistico, e che il ministero non abbia esercitato, nelle altre, il potere sostitutivo previsto dal Codice dei Beni Culturali.

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Qualcosa si potrebbe fare subito, in attesa di correggere il maggior difetto dell’ordinamento italiano, cioè la sovrapposizione fra le quattro nozioni giuridiche di paesaggio, ambiente, territorio, suoli agricoli, con norme distinte e spesso conflittuali. Sarebbe facile, per esempio, commisurare per legge i piani urbanistici a previsioni di crescita demografica certificate dall’Istat: si sa, infatti, che i Comuni truccano spesso le statistiche, autoattribuendosi mirabolanti crescite di popolazione, onde poter consentire la speculazione edilizia. Si dovrebbero stabilire, Comune per Comune, parametri di edificabilità basati sul tasso di edilizia condonata, sulla frequenza di edifici abbandonati, invenduti o inutilizzati e di aree de-industrializzate da destinare a uso collettivo. Si dovrebbe consolidare la norma della legge di bilancio 2016 (comma 460), che riporta gli oneri di urbanizzazione all’originaria funzione della legge Bucalossi, senza più destinarli alla spesa corrente.

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Intanto, mentre si moltiplicano i segni premonitori dei prossimi disastri, e aleggia, da Berlusconi a Renzi, il fantasma del Ponte sullo Stretto, bandiera e simbolo dell’irresponsabile gestione del territorio, qualcosa si muove. Reagendo all’inerzia di Parlamento e governi, il Forum “Salviamo il Paesaggio” ha lanciato una proposta di legge d’ iniziativa popolare “per l’arresto del consumo di suolo e per il riuso dei suoli urbanizzati”. Un’altra fra le mille prove che, mentre i politici di mestiere s’affannano per lo più a conservare poltrone e appannaggi, un gran numero di cittadini è pronto a operare “dal basso” per ridare a questo Paese il respiro e il futuro che meriterebbe.

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È ancora attuale il monito di Luigi Einaudi, in un appunto che scrisse, da Capo dello Stato, al presidente del Consiglio De Gasperi: “Il problema massimo dell’Italia è la difesa, la conservazione e la ricostruzione del suolo contro la progressiva distruzione che lo minaccia. L’uomo di Stato deve guardare lontano nello spazio e nel tempo, anche contro la volontà degli uomini viventi oggi. La lotta contro la distruzione del suolo italiano sarà dura e lunga, forse secolare. Ma è il massimo compito di oggi se si vuole salvare il suolo in cui vivono gli Italiani” .

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il Fatto Quotidiano, 18 febbraio 2018

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