Il lungo e caloroso applauso finale degli oltre mille attentissimi ascoltatori è stata la migliore dimostrazione di quanto la ‘lezione’ del professor Gustavo Zagrebelsky abbia saputo cogliere le tensioni del momento.
L’argomento scelto per questa edizione dei Dialoghi sull’uomo, che gli organizzatori pistoiesi definiscono ‘festival della antropologia contemporanea’, era ‘Condividere il mondo. Per una ecologia dei beni comuni’.
In questa cornice, che ha visto la partecipazione interdisciplinare di Stefano Rodotà, Remo Bodei, Ugo Mattei, Serge Latouche, Alain Caillé e tanti altri importanti relatori, al Presidente onorario di Libertà è Giustizia è stato assegnato il tema ‘La cultura come terzo pilastro della vita sociale’, uno dei più ‘politici’ in programma, specialmente alla vigilia di una tornata elettorale complicata.
Zagrebelsky ha scelto di affrontarlo mescolando l’abituale ironia a affermazioni nette e talvolta apertamente polemiche verso quanti si sono recentemente interrogati sul valore economico della cultura che ‘non si mangia’, o hanno apertamente irriso i ‘professoroni’.
La tesi svolta ha visto la cultura come componente essenziale delle società libere, insieme all’economia e alla politica, ma con una profonda differenza: se le ultime due sono i ‘luoghi’ del potere e della prevaricazione, la cultura è, al contrario, l’elemento unificante, apparentemente più debole, ma indispensabile.
I tre elementi devono essere indipendenti, altrimenti si precipita in un regime autoritario; questo è il rischio troppo sottovalutato del conflitto di interessi che il nostro Paese conosce benissimo.
‘Nella cultura condivisa ci si riconosce senza conoscersi personalmente’ perché accomunati dalle stesse speranze e dagli stessi ideali, ma la cultura è anche ciò che ci distingue dagli ‘altri’, nei confronti dei quali può perfino generare paura e conflitto.
Per il relatore fino a un certo punto nella storia dell’uomo la cultura è stata quasi coincidente con la religione, ora nelle nostre società multietniche e laiche dobbiamo invece costruirla noi stessi, trovando le ragioni della convivenza e della libertà, rifiutando l’asservimento alle logiche conflittuali dell’economia e della politica, che contengono il rischio del conformismo, e di quella patologia della democrazia che Tocqueville definì la ‘dittatura della maggioranza’.
L’ultima sezione della lezione è stata dedicata al più attuale dei conflitti culturali: quello generazionale, che ribaltando l’errore della gerontocrazia sembra voler attribuire alla età anagrafica un valore in sé, costruendo appunto un contrasto fra le ‘generazioni’ che si vorrebbe far coincidere con quello fra innovazione e tradizione e risolvere semplicemente facendo tabula rasa del pensiero precedente e privilegiando l’attivismo fine a se stesso.
Ipotesi più che sbagliata impossibile, dato che ‘non si riparte mai da zero’ e tutti siamo il frutto di chi ci ha preceduto.
Zagrebelsky propone il riconoscimento del naturale conflitto fra nuovo e ‘vecchio’ da cui nasce l’evoluzione, ma anche che ‘il mondo è un lascito che si trasmette fra le generazioni’ all’interno di quella cultura unificante e condivisa che è elemento fondante delle nostre società.
Per questo è importante che la politica dei governi non pensi di asservire la cultura e, anche se può essere fattore di sviluppo economico, non pensi di assoggettarla alle regole del profitto o del conformismo.
Ma soprattutto ne garantisca gli spazi di autonomia, di elaborazione e magari di contestazione, senza cedere alle tentazioni semplificatrici della ‘rottamazione’ del dissenso.
*L’autore è socio di Pistoia