PALERMO — Alla vigilia del processo per la trattativa Stato-mafia, la Procura di Palermo fa una mossa a sorpresa e deposita nuovi atti su uno dei temi più delicati dell’intera vicenda, quello che ha come protagonista Nicola Mancino, oggi imputato di falsa testimonianza. L’ex ministro si lamentava con il consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio, di un presunto mancato coordinamento nelle indagini sulla trattativa, e le sue parole erano intercettate dalla Dia. Ora i pm di Palermo ribadiscono che quelle richieste al Colle sarebbero state ripetute e insistenti, anche nel maggio 2012, quando l’inchiesta stava per essere chiusa e le intercettazioni erano state ormai sospese.
È un sospetto che secondo la Procura emerge dal carteggio depositato ieri, fino a qualche settimana fa classificato come «riservato », quello fra il procuratore generale della Cassazione e il procuratore nazionale antimafia. Il 18 maggio dell’anno scorso, Gianfranco Ciani sollecitò a Piero Grasso, oggi presidente del Senato, una «relazione» sul coordinamento nelle indagini sulla trattativa. «Poiché debbo dare un seguito alla nota del 4 aprile 2012 del segretario generale della presidenza della Repubblica — scrisse il procuratore generale Ciani — ti sarei grato se mi farai pervenire con sollecitudine la relazione che ti chiesi nel corso del nostro incontro del 19 aprile». Quattro giorni dopo, Grasso rispose con una lettera che aveva ad oggetto: «Relazione su On. Mancino».
Iniziava così: «Eccellentissimo procuratore, facendo seguito all’incontro del 19 aprile e per corrispondere alle richieste verbali dell’eccellenza vostra trasmetto le seguenti precisazioni circa le attività di coordinamento da me svolte tra le direzioni distrettuali di Caltanissetta, Firenze e Palermo sul tema della cosiddetta trattativa, che coinvolge tra gli altri il senatore Mancino, il quale sia dal collaboratore Brusca, sia dal dichiarante Ciancimino viene ripetutamente indicato come il terminale, da parte dello Stato, della predetta trattativa».
Grasso concludeva ribadendo quanto aveva già detto nella riunione convocata il 19 aprile dalla Procura generale dopo la nota del Colle. Ovvero: non c’è stato alcun difetto di coordinamento nelle indagini. E dunque, secondo il procuratore nazionale, nessuna indagine poteva essere avocata. La conclusione di Grasso era lapidaria sull’ipotesi dell’avocazione ventilata in Cassazione: «Mai nessun procuratore nazionale si è avvalso di tale prerogativa». Il carteggio fra Ciani e Grasso è emerso perché la Procura di Palermo ha sollecitato a giugno la Dna a consegnare tutta la documentazione sui contatti avviati dal Pg della Cassazione. E dopo una richiesta di chiarimenti, le lettere sono arrivate a Palermo con una nota del procuratore nazionale «facente funzione» Sciacchitano.
Per i pm Di Matteo, Del Bene, Tartaglia e Teresi il tema delle richieste di Mancino al Quirinale è tanto centrale nel processo che è necessario citare in aula il procuratore Ciani e il suo predecessore Vitaliano Esposito, ma anche il segretario della presidenza della Repubblica Donato Marra e l’ex procuratore Grasso. Nella lista dei testimoni che i magistrati illustreranno all’udienza del 26 settembre c’è pure il presidente della Repubblica: la Procura vuole sentire Giorgio Napolitano su una lettera che l’anno scorso gli fu inviata da Loris D’Ambrosio, deceduto qualche settimana dopo. In quella lettera, il consigliere del Colle ribadiva la sua correttezza dopo le
polemiche seguite alle intercettazioni con Mancino, ma esprimeva anche un timore sugli anni trascorsi al commissariato antimafia e al ministero della giustizia (1989-1992). I pm vogliono chiedere a Napolitano se abbia ricevuto altre confidenze da D’Ambrosio. Dovrà essere la Corte d’assise che conduce il processo a stabilire se ammettere le citazioni. Intanto, uno dei pm del processo, Nino Di Matteo, continua ad essere indagato dalla procura generale della Cassazione, con l’accusa di aver rivelato in un’intervista l’esistenza delle telefonate di Mancino con Napolitano. Accusa che Di Matteo respinge.
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