Monte dei Paschi e le primarie a Siena

25 Gennaio 2013

La cronaca finanziaria e giudiziaria degli ultimi giorni, ci riporta in mezzo alla bufera che investe Siena, la sua banca e soprattutto un sistema di gestione generale dell’interesse pubblico perlomeno “originale”. Adesso sale sul palcoscenico il principale indiziato di questa situazione: la forza politica cittadina che ha avuto in mano il governo della città dal dopoguerra. Leggi l’intervista al procuratore capo di Firenze Giuseppe Quattrocchi

La cronaca finanziaria e giudiziaria degli ultimi giorni, ci riporta in mezzo alla bufera che investe Siena, la sua banca e soprattutto un sistema di gestione generale dell’interesse pubblico perlomeno “originale”.
Chi vorrà approfondire le dinamiche e i percorsi che hanno portato agli eventi che stanno riempiendo le prime pagine dei media, potrà farlo agevolmente attraverso le analisi ed i commenti di giornali e siti più o meno specializzati, ma il “succo” di tutta la storia può essere sintetizzato  in pochissime frasi: una gestione inadeguata (quella che ha visto il dimissionario presidente Abi Giuseppe Mussari alla guida della Fondazione e poi della Banca dal 2002 a metà 2012) che “sembra” abbia cercato di tappare falle di bilancio attraverso rischiosissimi strumenti finanziari (derivati) peraltro – pare – tenuti segreti e quindi sconosciuti agli organi di controllo della stessa banca.
Tutte le technicalityes che riguardano questi eventi sono, per quanto ci riguarda, marginali.
Quello che invece merita la nostra attenzione e un’evidenza ancora più rilevante, è l’analisi delle modalità e delle dinamiche che hanno riguardato gli intrecci perversi tra la politica senese (tutta, ma in particolare le forze politiche che direttamente hanno governato la città e la provincia) e gli organi di gestione e controllo di quella che è la banca più vecchia del mondo.
Questo “groviglio armonioso” (così definito a Siena nei periodi nei quali la Fondazione MPS erogava centinaia di milioni all’anno per il territorio) si fondava su un paradigma machiavellico. Fintanto che il “babbone” (la Banca attraverso il suo azionista di controllo, la Fondazione MPS) erogava copiosamente su tutta la città e la provincia, pochi e ben nascosti erano i critici e gli eretici che osavano denunciare un sistema dove la trasparenza, la competenza e il merito soggiacevano imbelli all’inciucio, alla cooptazione per appartenenza ai clan e sostanzialmente all’obbedienza.
La politica era la finanza e la finanza era la politica. Così a Siena fino alla metà del 2012.
Adesso sale sul palcoscenico il principale indiziato di questa situazione: la forza politica cittadina che ha avuto in mano il governo della città dal dopoguerra.
Nella primavera del 2012 il Sindaco Pd Franco Ceccuzzi (funzionario di partito, segretario provinciale dei Ds di Siena dal 1999 al 2006, segretario del Pd comunale di Siena dal 2008 al 2010, parlamentare Pd dal 2006 al 2011) si dimette in conseguenza della spaccatura della maggioranza, avvenuta sul tema del bilancio comunale, ma – di fatto – a seguito della decisione  del  Sindaco stesso e degli organi che indicano i componenti della Fondazione MPS (in testa comune e provincia) di cambiare i vertici della Banca, rompendo il metodo “cencelliano” e spartitorio ma basandosi, deo gratias, su criteri di qualità e merito oggettivo. E su questo punto riconosciamo grande merito e coraggio a chi si è assunto questa responsabilità.
Inizia l’era di Profumo (presidente) e Viola (amministratore delegato) alla guida della Banca MPS, ma il vaso di pandora è ormai aperto.
Il Pd cittadino si spacca, il comune viene commissariato fino alle elezioni (fine maggio 2013) e la battaglia politica si fa all’arma bianca.
Sul fronte di un’opposizione imbelle e connivente per decenni tutto tace; sorgono varie liste civiche, sostenute da parti ex Pd e correnti centriste; il centrosinistra “ufficiale” cerca di resistere e si decidono primarie di coalizione.
A questo punto logica del bene comune, ma anche buon senso, avrebbe voluto da parte del Pd cittadino un percorso di catarsi etica e gestionale cristallino o anche semplicemente “democratico”.
Primarie di coalizione che avrebbero dovuto favorire la più larga partecipazione di nuove energie, proposte e risorse. Dopo mesi di tatticismi, il Pd comunale vara delle regole che fanno della partecipazione a queste primarie un labirinto senza uscita, blindando di fatto l’accesso a un unico candidato, il sindaco uscente Franco Ceccuzzi, artefice della svolta sui criteri di nomina dei vertici della Banca. Il regolamento per le primarie viene però approvato l’11 dicembre 2012, quando, da circa un mese, Ceccuzzi si è già candidato dichiarando di farlo “fuori dal partito” pur raccogliendo le firme di iscritti e membri dell’assemblea comunale del Pd. La disciplina approvata dalla coalizione prevede, oltre ai meccanismi interni di partito, anche una modalità ‘aperta’. Aperta per modo di dire visto che occorre raccogliere 1500 firme di cittadini (su una popolazione che conta circa 35000 elettori, e tenuto conto che per depositare una lista per le amministrative ne bastano 200) con un sistema alquanto infernale: preavviso di 48 ore (al comitato organizzatore) della raccolta da avvenire in luogo pubblico e con la vidimazione contestuale di un consigliere/assessore provinciale o regionale e scadenza di presentazione il 21 dicembre. Il comitato organizzatore per le primarie si insedia il 15 dicembre: dopo soli due giorni Valentini, iscritto al Pd, appoggiato da una parte rilevante del partito, sostenitore di Matteo Renzi alle primarie nazionali, decide di candidarsi. Dando il preavviso di cui sopra, Valentini avrebbe dovuto raccogliere le 1500 firme, con quel meccanismo, in soli due giorni e mezzo: impossibile. Per inciso, per candidarsi alla presidenza della regione Lombardia (9 milioni di abitanti) bastano 3000 firme… Le primarie vengono peraltro fissate il 20 gennaio: data che viene contestata da Valentini e da molti altri piddini, visto che le elezioni amministrative si terranno a maggio. La coalizione decide, dopo la scadenza del termine, di prorogarla al 2 gennaio (festività permettendo!) per la raccolta delle firme ma soltanto nella modalità ‘di partito’: niente firme dei cittadini ma solo iscritti e membri dell’assemblea. Valentini ‘denuncia’ pubblicamente la situazione lamentando il fatto che non gli venga fornita copia degli elenchi degli iscritti e che, per i membri dell’assemblea, nonostante la disponibilità annunciata, il ‘rastrellamento’ delle firme è già avvenuto da parte dell’altro candidato: 66 firme raccolte da Ceccuzzi, 61 quelle teoricamente disponibili su un totale di 127. Ne servono 45: Valentini ne raccoglie 30 mentre le altre 31 si riferiscono perlopiù a persone che fanno riferimento all’area politica che ha sostenuto i consiglieri ‘dissidenti’ all’origine della caduta dell’amministrazione comunale. Peraltro, in base al regolamento, queste persone (dissidenti e loro sostenitori) non avrebbero potuto né votare né sottoscrivere la candidatura di chicchessia né tantomeno candidarsi. Eppure il quorum complessivo non viene abbassato, rendendo praticamente impossibile a Valentini di avere le firme necessarie. Valentini decide di rivolgersi ai cittadini con una petizione e con la richiesta di sottoscrivere la propria candidatura alle primarie (oltre a un ragionevole rinvio): in pochi giorni raccoglie oltre 1500 firme, che diventano ben oltre 2200 in dieci giorni. Prima della nuova scadenza (2 gennaio, poi prorogata definitivamente al 6 gennaio) la coalizione si sfalda: il P.S.I.-Riformisti esce e non vi rientrerà, S.E.L. dice che 1500 firme di cittadini danno il diritto a partecipare alle primarie. Al Pd, fin da dicembre, viene chiesto di convocare un’assemblea per trovare in quella sede la soluzione politica: ma la richiesta cade nel vuoto e il Pd comunale si chiude a difesa del regolamento. Regolamento peraltro impugnato da altri iscritti al partito, dell’area politica dei consiglieri comunali ‘dissidenti’, dinanzi alla Magistratura senese: in due ordinanze successive i giudici di prima e seconda istanza, pur rigettando il ricorso per ragioni processuali (il primo) e di limite della giustizia all’intervento nei meccanismi interni di partito e particolarmente riguardo alla regolamentazione delle primarie (il secondo), affermano che alcune di queste regole violano comunque, nella sostanza, alcuni diritti fondamentali costituzionalmente garantiti come quello alla libertà di opinione e di critica e, peraltro, ad alcuni dei ricorrenti il Pd comunale, prima della decisione, consegna il certificato di elettore alle primarie (marcia indietro?)… Il 4 gennaio il candidato Ceccuzzi dice pubblicamente che chiederà a 15 dei suoi sostenitori dell’assemblea di dare la firma all’altro candidato: cosa peraltro difficilmente realizzabile (la doppia firma si annulla a termini di regolamento, e le firme depositate presso gli organi di garanzia non potevano certo essere revocate). Il 6 gennaio si consuma la rottura: non solo e non tanto sul terreno delle firme “concesse” (non dal partito ma da un altro candidato), bensì sul mancato riconoscimento delle oltre 2000 firme raccolte da Valentini e soprattutto sul mancato rinvio della consultazione di una settimana per permettere un minimo di campagna elettorale. E’ peraltro singolare che, con le elezioni politiche fissate per il 24 e 25 febbraio, si sia insistito a voler tenere le primarie comunali a gennaio (con il rischio di riversare sull’appuntamento nazionale le frizioni locali interne) e non rimandarle a marzo (come sostanzialmente avviene nel resto d’Italia).
Un’ importante parte del Pd cittadino, insomma, cerca di organizzarsi intorno a un altro candidato e il Pd senese, che avrebbe bisogno come il pane di un momento di grande partecipazione e di allargamento del consenso, lo esclude di fatto, arrampicandosi su questioni “regolamentari”.
Segue lo svolgimento delle primarie, il 20 gennaio, che incorona Ceccuzzi candidato di due sole forze del centrosinistra (Pd e Sel) ma il dato eclatante è il livello della partecipazione: votano 2461 persone (alla precedente competizione Cenni-Carli del 2001, avevano votato in 6500) e Ceccuzzi ottiene 1979 voti, meno del totale dei soli iscritti e meno delle firme dei cittadini raccolte da Valentini. I numeri “graffiano”, in economia ma anche in politica e in democrazia.
Subito dopo scoppia (o meglio continua a deflagrare) il caso Monte, con le dimissioni del presidente dell’Abi Mussari.
Dovrebbe esserci spiegato perché, in una fase talmente drammatica si è rinunciato, di fatto, a quelle pratiche democratiche  fondamentali – primarie vere e aperte – che avrebbero potuto consentire analisi, confronto, contendibilità vera, proposte e soprattutto aria nuova.
E’ sul piano dei principi, che connotano la buona politica, che questo vulnus graverà in maniera ancora più pesante, rispetto ad ogni eventuale accertata responsabilità del management e degli organi di vertice di Banca e Fondazione.
Lo stile gestionale di un management, di un cda… passa e può rinnovarsi (e questo , almeno pare , stia avvenendo), ma il segno politico che  giunge dalla forza politica di governo della città è sconfortante.
Riconoscere i propri errori nella vita, dimostra di aver raggiunto un livello di saggezza più elevato.
E questo dovrebbe valere ancora di più in politica, o almeno per la buona politica.
Siena, ed in questo caso il PD della città, dimostra di non essere riuscito a metabolizzare l’essenza dei propri errori; un gruppo dirigente politico dovrebbe render conto a tutta la sua comunità, quantomeno a tutti i propri elettori.
“I cattivi costumi si combattono con buoni costumi. Le leggi servono a colpire le devianze, ma nulla possono quando la devianza s’è fatta normalità. Prima di cambiare le leggi, occorre cambiare se stessi e, per cambiare se stessi, non occorre alcuna legge. Per chiedere rinnovata fiducia, occorrono “Atti di contrizione”, segni concreti di discontinuità, non “segnali”, come si dice per dissimulare l’inganno.” Questo c’insegna Gustavo Zagrebelsky.
In democrazia il metodo è essenzialmente contenuto e sostanza: al difuori di tutto questo è “groviglio infernale”, cari amici senesi.

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