Trattativa Stato-Mafia, si dimettono i vertici palermitani dell’Anm

11 Dicembre 2012

Lasciano gli incarichi il pm Di Matteo e il procuratore aggiunto Teresi. La decisione in seguito alla sentenza della Consulta che ha accolto il ricorso del Quirinale e bacchettato la procura siciliana sulla mancata distruzione delle telefonate tra il presidente della Repubblica e l’ex ministro Mancino. “Siamo stati lasciati soli”.

Il presidente e il segretario della Giunta palermitana dell’Associazione nazionale magistrati, il pm Nino Di Matteo e il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, si sono dimessi dagli incarichi. Dietro alla decisione anche la critica delle posizioni prese dall’Anm nazionale dopo la sentenza della Consulta che ha accolto il ricorso del Quirinale e bacchettato la Procura di Palermo per la mancata distruzione delle telefonate intercettate tra il capo dello Stato Giorgio Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino.

“Non riesco più a sentirmi parte di un’associazione che, nei suoi organi rappresentativi a livello nazionale, si è andata sempre più caratterizzando per valutazioni e interventi che sembrano dettati da criteri di ‘opportunità’ politica’ e che talvolta finiscono per denotare un pericoloso collateralismo al potere a scapito della doverosa tutela di colleghi impegnati in attività giudiziarie particolarmente complesse e delicate”, scrive Di Matteo, che si è dimesso anche dal ruolo di componente della Giunta, in una lettera indirizzata alla Giunta nazionale, a quella distrettuale e a tutti i colleghi del distretto di Palermo.

In particolare, nella lettera, Di Matteo fa riferimento all’atteggiamento avuto dall’Anm nazionale a proposito delle polemiche sorte dall’indagine della procura sulla trattativa Stato-mafia e rimprovera il sostanziale silenzio “a fronte degli inauditi attacchi personali” ai titolari dell’inchiesta e alla sentenza della Consulta che ha deciso sul conflitto di attribuzioni proposto dal Colle.

“Mi ha colpito, ancora una volta, – dice – ma certamente non sorpreso, l’atteggiamento dell’Anm” che, aggiunge, “non ha ritenuto di spendere una sola parola a difesa dell’operato dei magistrati di Palermo, limitandosi a stigmatizzare pesantemente le critiche che il collega Ingroia (peraltro collocato in aspettativa e non più titolare del procedimento) aveva osato muovere alla sentenza”.
“Evidentemente, per l’ennesima volta, – aggiunge – nelle scelte degli organismi rappresentativi dell’associazione, ragioni di opportunita” politica hanno prevalso sul dovere di difendere e di non isolare ulteriormente magistrati che si trovano oggi accusati di avere violato le prerogative della più alta carica dello Stato quando, invece,  avevano agito nel pieno rispetto della normativa vigente”.

“Anche in questo caso – conclude – l’Anm non ha saputo fare altro che prendere le distanze da quei magistrati che dovrebbe tutelare e rappresentare. Così contribuendo ad alimentare la volonta” dei tanti che vorrebbero in futuro una magistratura sempre più avida e burocratizzata ed attenta, più che a rendere giustizia, a  non disturbare l’azione dei potenti”.

Critico sull’atteggiamento dell’Anm anche Teresi  che, però, riconduce la scelta anche ad altre ragioni. “Uno dei motivi che mi hanno convinto – spiega  – è la mia nuova posizione di coordinatore del procedimento sulla trattativa. Mi sono state rimproverate prese di posizione pubbliche. E siccome il mio incarico prevede anche i rapporti coi media voglio gestire questa funzione in libertà senza che si creino confusioni o sovrapposizioni di ruoli”.

“C’è poi un’altra ragione  – prosegue – che definirei ‘crisi di rappresentatività’. Il progetto di Area, nato come un’unione elettorale tra Magistratura Democratica e i Verdi, sta andando avanti prendendo le caratteristiche di una fusione e io non sono d’accordo”. (10 dicembre 2012)

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