“Vogliamo accesso ai documenti della Pa”. Nasce una coalizione per un Foia italiano

18 Maggio 2012

La trasparenza e la conoscibilità degli atti pubblici sono un’utopia in Italia, mentre in altri Paesi sono la norma. Come negli Usa, dove esiste il Freedom Of Information Act. L’appello di un gruppo di giornalisti, studiosi, amministratori e attivisti. Per controllare l’operato di chi governa, in nome della democrazia. Anche Libertà e Giustizia aderisce a questa importante iniziativa, che verrà supportata dal circolo di Roma di LeG

SE AVETE mai chiesto a un ufficio pubblico un’informazione importante ma non ovvia, con ogni probabilità avrete avuto in risposta un’altra domanda: “Perché? A che le serve?”

In Italia, per tradizione, si può conoscere solo ciò che è ufficialmente pubblico, tutto il resto è considerato riservato. Un cittadino deve giustificarsi se vuole venirne a conoscenza e spesso, comunque, non può. In altri paesi democratici non è così: gli atti della pubblica amministrazione possono essere richiesti e consultati, sono – in linea di principio – pubblici o pubblicabili e sono stabilite precise procedure perché le amministrazioni rispondano a queste richieste di conoscenza.

In Italia, come l’esperienza di ciascuno insegna, le cose non stanno così. Per cambiarle nei giorni scorsi è nata una coalizione di giornalisti, studiosi, pubblici amministratori, attivisti che si battono per la trasparenza del governo.

La prima mossa della coalizione – e visto che parliamo di trasparenza, è bene essere chiari: chi scrive è tra i promotori – è stata la pubblicazione del documento 1 “Dieci buoni motivi per volere una legge sulla trasparenza della Pubblica amministrazione” su un sito web (www.foia.it 2) che prende il nome dal Freedom of Information Act, la legge americana che consente a chiunque di domandare copia degli atti della pubblica amministrazione.

Non

tutto è semplice neppure lì, naturalmente. Anche in America le burocrazie preferiscono lavorare nell’ombra, le procedure sono lente e alcuni documenti restano riservati o sono pubblicati con vistosi “omissis”, ma nel complesso siamo sideralmente distanti dalla situazione italiana.

A dir la verità, nel 2009 un emendamento del senatore Pietro Ichino alla Legge Brunetta, votato in mondo bipartisan, ha introdotto nella legislazione italiana il principio di “accessibilità totale” per gli atti pubblici, ma senza norme di attuazione e misure organizzative ad hoc, il principio è destinato a restare lettera morta. Unica norma realmente operante in Italia è la legge del 1990 che prevede l’accesso agli atti solo per chi possa dimostrare un interesse specifico.

Di qui la necessità di lanciare una campagna di mobilitazione, che è politica in senso lato, perché anche l’Italia si doti di strumenti di trasparenza e controllo al pari dei molti altri Paesi che già hanno una legislazione simile al Foia (a partire dalla Svezia, che in realtà fu la prima ad adottarla).

Una campagna che potrebbe e dovrebbe intrecciarsi con un altro movimento, distinto e parallelo, che spinge le amministrazioni pubbliche a rendere “aperti” i dati che raccolgono. Il movimento “open data”, chiede – e in parte sta già cominciando ad ottenere – che i dati in loro possesso siano resi pubblici in formato riutilizzabile (siano cioè scaricabili ed eventualmente “ricalcolabili”).

Della nuova iniziativa fanno parte, come si è detto, molti reporter e organizzazioni di giornalisti, visto che l’accessibilità degli atti pubblici dovrebbe loro consentire una più efficace opera di racconto e controllo dell’operato di governanti e amministratori. Ma non è certamente una cosa che riguardi solo i giornalisti, riguarda prima di tutti i cittadini. Sono i cittadini che devono controllare ciò che è fatto in loro nome e per loro conto e – come ormai sempre più spesso accade all’estero – aiutare anche i giornalisti a raccogliere, vagliare, spiegare dati e documenti che per la loro quantità non potrebbero essere analizzati solo dai professionisti.

L’ampia adesione del mondo del giornalismo a questa iniziativa ha, per chi scrive, un altro aspetto positivo: potrebbe indurre il mondo del giornalismo professionale italiano a pensare in maniera molto concreta ad aprirsi anch’esso a esigenze di trasparenza finora largamente ignorate. Se il cittadino avrà maggior fiducia in una pubblica amministrazione più trasparente, dovrebbe dar anche maggior credibilità alle testate che gli offrano i dati originari, le fonti (quando non riservate) delle proprie informazioni.

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