«Diceva Tonino Bardellino: prima picchi uno e dopo ci parli». Una regola che Benedetto D´Innocenzo, 57 anni, nato in provincia di Caserta e abitante a Gambassi Terme, imprenditore sui generis, aveva importato in Toscana. Nella civile Toscana che troppo spesso si illude di essere immune dal contagio mafioso. Tonino (Antonio) Bardellino era uno dei capi della Nuova Famiglia, nonché il capostipite del clan dei casalesi. Benedetto D´Innocenzo – stando a quanto egli stesso diceva ai suoi amici e a quanto risulta dall´inchiesta del pm antimafia Pietro Suchan e della squadra mobile di Firenze – ha trasferito in Toscana, fin dalla metà degli anni Ottanta, il “sistema” camorristico di fare impresa, usando la violenza, l´inganno, le minacce e le spedizioni punitive per impadronirsi di aziende in difficoltà e arricchirsi enormemente.
Ora Benedetto D´Innocenzo è in carcere per associazione mafiosa, estorsioni, minacce. Con lui sono finiti in cella il figlio Diocrate di 33 anni, e due complici, Alfonso Di Penta e Giuseppe Laurenza, specializzati, secondo le accuse, in intimidazioni. Il gip Angelo Antonio Pezzuti, che ha ricostruito le attività del gruppo in un´ordinanza di 52 pagine, ha mandato ai domiciliari Leonilde Marciello, moglie di Diocreto D´Innocenzo, e il ragionier Francesco Brocco, indicato come il contabile e consigliori del clan, mentre una settima persona, Simone Faleri, è stata colpita da obbligo di dimora a Certaldo. Altre 31 persone sono sotto inchiesta. Sequestrati beni per 9 milioni di euro. Due impiegati del Monte de´ Paschi (uno operante nella sede di Roma e l´altro in quella di Montecarlo), indicati come consulenti finanziari di Benedetto D´Innocenzo, sono accusati di riciclaggio.
L´inchiesta è scaturita dal coraggio della disperazione di un imprenditore di Castelfiorentino, titolare di una ditta di giardinaggio e di mobili da giardino, che a fine 2008 si è trovato in crisi per un debito con l´erario per Iva e contributi non versati, per un totale di 360 mila euro. Benedetto D´Innocenzo si è offerto di aiutarlo a estinguere il debito, proponendo il proprio ingresso in società, per poi rapidamente dissanguarlo di tutto, beni personali, beni dell´azienda, l´intero magazzino. Quasi subito sono cominciate le minacce. Pesantissime. Come quando D´Innocenzo cacciò la moglie dell´imprenditore dall´azienda dicendole: «Levati di qui, altrimenti ti tolgo la casa e anche le bambine finiscono per strada». O come quando un collaboratore del titolare della ditta di giardinaggio si è trovato sotto la minaccia di una pistola impugnata da Diocreto. Il 16 ottobre 2009 l´imprenditore scopre un foro di proiettile sulla sua auto. Presenta denuncia e nel corso del 2010 viene più volte inseguito in auto e minacciato.
La squadra mobile ha scoperto che D´Innocenzo aveva usato gli stessi metodi con altri imprenditori, impadronendosi fra l´altro di alcune aziende tessili a Prato e Montemurlo, dove poi hanno subito violenze e intimidazioni anche i dipendenti e i sindacalisti che cercavano di difenderli. Che questi fossero i metodi di Benedetto D´Innocenzo lo sostiene anche il figlio Diocreto, che si ritiene molto più capace del padre di “fare impresa” e il 21 febbraio 2010 si sfoga con la madre al telefono: «Tu credi che fare l´imprenditore vuol dire fottere l´azienda agli altri?… Lui è capace di rubare i soldi alla gente, a rubare la roba alla gente. Se questo vuol dire essere imprenditore, io non lo so fare, questo lui è capace, io no. L´unica cosa che sa fare!. A quello gli ha fottuto l´azienda, a quest´altro gli ha fottuto l´azienda… però dopo non sa fare nient´altro».
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