La linea soft del premier

29 Settembre 2010

Forse non si può parlare di un Berlusconi bis, ma è chiaro che il presidente del Consiglio ha dovuto prendere atto di una situazione mutata rispetto a quella che due anni e mezzo fa lo portò a Palazzo Chigi con una larghissima maggioranza.

A ogni occasione, Berlusconi se la prende con il “teatrino della politica”. Ma di questo “teatrino” proprio lui ha offerto la più imprevista delle rappresentazioni dopo il tanto rullare di tamburi che si era fatto intorno al suo discorso alla Camera. Sono stati, nella maggioranza di centrodestra, sei mesi di roboanti minacce e scontri, di polemiche e scandali, che hanno ridotto il Cavaliere e Fini al ruolo di separati in casa. Ma il premier si è presentato a Montecitorio con un discorso che smorza e minimizza, scontando una sconcertante ipocrisia. Insomma, il Cavaliere ha rinfoderato la spada che con sicurezza aveva prima agitato. E ha scelto la linea soft. Un intervento scritto con inchiostro doroteo.

Certo, non poteva negare quanto è accaduto nel Pdl. Ma ha evitato di forzare i toni. Ha espresso la sua amarezza per i contrasti, ha condannato le “critiche aprioristiche”, che gli sono venute da Fini, senza mai peraltro direttamente citarlo. Però, ha finito per ammettere “il dibattito interno tra le diverse opinioni”. Ed è arrivato fino a questa conclusione: “Tutto si può dibattere…La mia indole mi porta alla ricerca della soluzione migliore attraverso contributi diversi”. E’ evidente che, in queste parole, non si può leggere il riconoscimento della “terza gamba” dell’alleanza invocata dai finiani. Ma l’ammissione di una certa dialettica interna può consentire agli uomini del presidente della Camera di votare la fiducia senza troppo sofferenza. Dovrebbero servire, in ogni caso, questi toni più sfumati a tenere aperto il canale del dialogo con i moderati del gruppo di Fini, e a ridurre spazio alle sortite dell’ala più radicale.

Anche sul tema giustizia, quello che a Berlusconi sta veramente a cuore, non sono stati messi in campo argomenti particolari di frizione con il presidente della Camera. E’ evidente che per chi ha a cuore la cultura della legalità le parole del premier sono tutt’altro che tranquillizzanti. Lo scudo giudiziario, che dovrebbe salvarlo dai processi, è reclamato senza alcuna remora. Si riafferma l’impegno per la riforma del Csm e la separazione delle carriere. Il Cavaliere, però, ha evitato di parlare apertamente del processo breve, soluzione per Fini particolarmente indigesta. E si limitato a insistere sulla “giusta durata” dei processi, promettendo gli appositi interventi finanziari, cosa sulla quale, in linea di principio, un po’ tutti potrebbero concordare. Stanno in ciò i termini del baratto al quale si pensa sulla giustizia, questione eternamente sacrificati agli interessi prevalenti del presidente del Consiglio.

Non sapremmo dire se, a questo punto, si possa parlare di un “Berlusconi bis”, come pensa qualche osservatore. Ma è chiaro che il premier ha dovuto prendere atto di una situazione mutata rispetto a quella che due anni e mezzo fa lo portò a Palazzo Chigi con una larghissima maggioranza. Naturalmente, l’ha fatto a suo modo. Riproponendo la sua eterna narrazione dell’irrealtà, che trasforma la notte in giorno e il nero in bianco. Senza il minimo cenno a una responsabilità del governo per la situazione di dissesto che attraversa il Paese. Come se presiedesse un esecutivo che si trova all’inizio del suo cammino e non una coalizione che ha sprecato metà legislatura per mancanza di progetti e di programmi concreti. Per Berlusconi tutto va bene, quello che non si è fatto verrà realizzato in un radioso futuro, dall’economia ai problemi del Mezzogiorno. E’ la solita politica dell’annuncio, che ha lasciato marcire anche le emergenze. Il trionfo dell’ipocrisia. Ma fino a quando potrà durare?

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