D opo che il presidente dei miei Vescovi ha accostato mio padre – Vittorio Bachelet – a Sturzo e De Gasperi, e il presidente della mia Repubblica ha ripreso e ribadito questo accostamento nel suo recente intervento sul Crocifisso, alla commossa gratitudine si accompagna il desiderio di capire se e come, in nuove circostanze, quell’esempio e quell’insegnamento ci siano ancora d’aiuto. Anzitutto, l’Europa non è una creazione del diavolo ma un disegno al quale De Gasperi e i cattolici di tutto il continente hanno dato, nella seconda metà del XX secolo, un contributo decisivo. Il raffreddamento di questo entusiasmo ai vertici della Chiesa è uno dei tratti del XXI secolo che mio padre non poteva prevedere. Anche la mutata composizione religiosa del nostro Paese per effetto d’imponenti migrazioni, o il crollo del muro a Berlino, erano, ai suoi tempi, imprevedibili.
Sono però ancora in piedi due pilastri della sua vita professionale, associativa e politica: la Costituzione Italiana e il Concilio Vaticano II. Questi pilastri, insieme alle parole del presidente della Repubblica, potrebbero aiutare la mia Chiesa a fare la propria parte nel depotenziare i conflitti, anzitutto condividendo, alla vigilia della decisione di Strasburgo, il rispetto per «organi giudiziari, in questo caso sovranazionali, sulla cui saggezza è bene confidare e le cui decisioni definitive devono essere comunque accettate»; e magari riconoscendo anche, sulla base della propria straordinaria esperienza di accoglienza degli immigrati, l’odierna problematicità religiosa, prima che civile, dell’esposizione obbligatoria del Crocefisso da parte dello Stato.
Conosco non pochi preti e pastori che alle nobili parole del presidente della Repubblica e alla sua generosa riproposizione sussidiaria del ‘cuius regio eius religio’ risponderebbero ‘grazie, ma forse è meglio di no’, citando proprio il Concilio: «Certo, le cose terrene e quelle che, nella condizione umana, superano questo mondo, sono strettamente unite, e la Chiesa stessa si serve di strumenti temporali nella misura in cui la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni ».
Forse oggi sognare una simile gara di generosità e larghezza di vedute fra Stato e Chiesa appare ingenuo e lontano dalla realtà almeno quanto qualche scena del film ‘Miracolo a Milano’ o il famoso parere di padre Cristoforo: «Quand’è così – riprese il frate – il mio debole parere sarebbe che non vi fossero né sfide, né portatori, né bastonate. I commensali si guardarono l’un con l’altro maravigliati. – Oh questa è grossa!– disse il conte Attilio. – Mi perdoni, padre, ma è grossa. Si vede che lei non conosce il mondo». E tuttavia, senza questa nobile gara, a me pare altissimo il rischio di creare guerre di religione e di civiltà agli antipodi del messaggio cristiano, senza alcun vantaggio né per la fede, né per la convivenza civile.
*deputato del Pd
Il tuo parere, caro Giovanni, è suggestivo e appassionato, ma per me non centrato. Non stiamo parlando di privilegi incomprensibili, ma di un Segno e di sentimenti colmi di significato. Non stiamo discutendo della legittimità di una giustizia sovranazionale, ma del rispetto del principio di sussidiarietà (che è un equilibrato ed essenziale cardine di legalità nell’Europa che si va unendo). Non stiamo discutendo di un rifiuto, ma di un abbraccio: quello di Cristo in croce. Incontrare e accogliere la diversità (poca o tanta che sia) non può significare la rinuncia alla nostra storia così come non significa più da tempo, per noi cattolici, pretendere la rinuncia alla storia e alla cultura altrui. È vero, ci è stato anche chiesto di saperci «perdere», ma prendendo su di noi la croce. E offrendola. (mt)
Il deputato pd: perché, anche nel caso del crocifisso, la Chiesa non si adopera per depotenziare i conflitti, anche rinunciando a diritti legittimi ma con profili di problematicità?
La risposta del direttore