E’ meglio far calare subito il sipario sul teatrino dell’assurdo che abbiamo visto recitare in tv. Non serve a nulla appellarsi alla prevalenza numerica (sette regioni su tredici), col rischio di chiudere gli occhi alla realtà. La vittoria del centrodestra in Piemonte e nel Lazio ha ribaltato gli equilibri a favore di Berlusconi e dice che la maggioranza di governo si conferma e si ramifica. Si può anche pensare che le sue interne contraddizioni finiscano prima o dopo per esplodere. Ma il grande successo di Bossi, che dilaga al Nord, non sembra mettere in imbarazzo, almeno in questa fase, il presidente del Consiglio. Gli interessi del Cavaliere e del Senatur, al momento, coincidono. E finchè sarà così il governo potrà godere di una relativa stabilità. Per il centrosinistra, il dato più doloroso è, probabilmente, la perdita del Piemonte, l’unica regione della pianura padana che si era sottratta finora all’egemonia dell’asse tra il premier e il capo del Caroccio. Qui, Mercedes Bresso, governatore uscente, aveva governato bene, e la partita si è giocata su una manciata di voti, portati via dal neonato partito di Beppe Grillo, il cui successo conferma quanto paghi oggi la protesta in un Paese in cui rabbia e stanchezza crescono, per ragioni valide certo, ma col rischio di fare alla fine il gioco dell’avversario. Sul filo di lana si è risolta anche la contesa nel Lazio, dove Emma Bonino ha condotto una campagna elettorale esemplare, ma ha scontato la presenza di ostacoli pesanti, compreso l’anatema scagliato dai vescovi a tre giorni dalle elezioni.
Tuttavia, non si può trascurare come il percorso con cui si è giunti alla sua candidatura sia stato tutt’altro che lineare, facendola apparire come una scelta dettata più dalle necessità che da profonda convinzione.
Nel Piemonte e nel Lazio si è condotta comunque una battaglia che ha avuto alcune ombre, ma anche le sue luci. E da cui si possono trarre utili indicazioni per il futuro. Ma del tutto fallimentare è il bilancio in altri regioni. La sconfitta è bruciante, e senza appello, in Campania e in Calabria, le due regioni a più alto tasso di criminalità organizzata. Si dirà che qui la partita era disperata, che la distanza dal centrodestra si presentava incolmabile. Ma questo non giustifica la mancanza di coraggio, l’incapacità di offrire una promessa di cambiamento, la rinuncia a qualsisasi segnale di discontinuità. La sola “novità”, nel Mezzogiorno, è offerta dalla Puglia, dove la vittoria di Nichi Vendola è netta e bella perché ottenuta sovvertendo i pronostici dei professionisti della politica, con una proposta popolare, carica di una visione di rinnovamento. Ma Vendola rimane un outsider. Non è facile esportare il suo modello da Bari a Roma, farne un’idea di rivoluzione per tutto il centro sinistra.
Senza Vendola in Puglia, e senza Burlando in Liguria, sarebbe stata piena disfatta. Invece, nelle pieghe del voto, il centrosinistra può cercare qualche motivo di conforto. Ma a condizione di non cedere ancora una volta alle suggestioni del “male minore”.
Non basta, al Pd, tessere una politica delle alleanze perché l’accordo con l’Udc non ha dato tutti gli effetti sperati, e il partito di Casini, dove è transitato da destra a sinistra, non è stato capace di portarsi dietro tutti i suoi voti. Al di là dei bizantinismi tattici, oggi si pongono per il partito, contemporaneamente, tanto una questa settentrionale quanto una questione meridionale. E ciò impone l’obbligo di rovesciare le profezie e di riconquistare il coraggio. Avviando l’opera di una strutturale rifondazione..
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