Viola principi costituzionali, come l’obbligatorietà dell’azione penale e la ragionevole durata dei processi, e avrà effetti “gravi” sull’efficacia delle indagini, con queste sostanziali motivazioni, il plenum del Csm boccia il disegno di legge che riforma il processo penale e fa suo – con qualche piccola modifica – il parere della VII Commissione che si era già espressa in modo negativo pochi giorni fa.
A favore hanno votato tutti i togati, i laici del centrosinistra, il vicepresidente del Csm Nicola Mancino. Contrari i laici di centrodestra; astenuto il laico dell’ Udc Ugo Bergamo.
In particolare il consigliere Antonio Patrono di Magistratura indipendente, ha definito ”sconcertante la norma nel punto in cui mette in concorrenza e in regime di controllo reciproco pm e polizia giudiziaria, perché consente alla pg di controllare il pm in fase di indagine”. Secondo Fabio Roia il ”problema della giustizia italiana è la lunghezza del processo e invece su questo punto si interviene molto poco”.
I laici di centrodestra Gianfranco Anedda e Michele Saponara hanno votato contro l’intero testo perché ”accanto al giudizio andava individuata una soluzione alternativa”, ha spiegato Anedda. Il testo finale è stato parzialmente modificato con un emendamento presentato da Bernardo Petralia.
Sul testo complessivo del parere i voti favorevoli sono stati venti. Mentre su una parte, quella che riguarda nuovi casi di astensione dei giudici, hanno votato contro, oltre ai laici del centrodestra, anche i togati di Magistratura indipendente e il laico dell’Udc, Ugo Bergamo.
Il parere del Csm mette sotto accusa soprattutto la scelta del Governo di spostare il motore delle indagini nelle mani della polizia giudiziaria, visto che il Pm non potrà più acquisire direttamente le notizie di reato. Ma viene contestata anche la decisione di cancellare la dipendenza dei servizi di polizia giudiziaria dal Pm e quella di instaurare una sorta di concorrenza e controllo reciproco tra il Pm e la polizia giudiziaria, di cui oltretutto viene “rafforzata la dipendenza dal potere esecutivo”. Così “viene meno l’obbligatorietà dell’azione penale, ma anche la separazione dei poteri”, dicono i consiglieri. Si tratta di disposizioni “sciagurate”, secondo Antonio Patrono (Magistratura indipendente), avvertendo che il rischio di dar vita ad indagini parallele potrebbe avere l’effetto finale di “assicurare l’impunità” ai colpevoli.
“Con queste norme non sarebbero state possibili le indagini sulla strage di Bologna, sulla P2 e sui Nar”, avverte Betta Cesqui (Magistratura democratica); e in generale quelle “sui poteri forti”, come ha fatto notare Fabio Roia (Unicost), secondo cui il ddl Alfano contiene quattro violazioni della Costituzione e due norme dettate “dall’attualità giudiziaria” che avranno effetti negativi sulla ragionevole durata dei processi. Un chiaro riferimento alla norma che impedisce di acquisire le sentenze irrevocabili per i reati meno gravi, fatta su misura – secondo l’opposizione parlamentare – per il processo Mills.
Preoccupa la maggioranza dei consiglieri anche la norma che ha esteso i casi di astensione e di ricusazione dei giudici ai giudizi espressi fuori dall’esercizio delle funzioni nei confronti delle parti del procedimento e tali da provocare fondato motivo di pregiudizio all’imparzialità del giudice.
Una formula così generica – sottolinea uno dei relatori, il togato di Md, Livio Pepino – che provocherà ricusazioni a catena.