Con lo sguardo rivolto al passato

14 Febbraio 2007

Il Manifesto del Pd // Com’è malinconica la sensazione di vivere in un Paese in cui gli abitanti siano costretti ad affrontare i problemi del presente e del futuro con lo sguardo perennemente volto all’indietro. Malinconica e sgradevole. La sentiamo pervaderci in questi giorni in cui la scoperta delle nuove Br operanti e temibili ci riporta al nostro primo incontro col terrorismo rosso, trent’anni fa. Eravamo giovani e inesperti, presi dall’ansia della crudele attualità, il 2000 sembrava così lontano che era del tutto assente dai nostri pensieri.
E la politica? In politica c’erano uomini grandi, saldi nei loro ideali, esperti nell’arte del compromesso, nobile e meno nobile, ma comunque tali da ingenerare a chi li ricorda, ancora oggi nostalgie e rimpianti. Fiumi di inchiostro si sono versati per raccontare come andarono le cose, come l’unità nazionale vinse il terrorismo nero e rosso, come cadde il muro di Berlino e dunque anche in Italia cominciarono a mutare le possibilità di alternativa. Cambiammo tutti, sul finire del secolo, anche se pezzi di quella Italia rifiutavano di esser sepolti del tutto: si disse che c’era un doppio Stato che operava, una parte alla luce del sole e uno nell’ombra e quello oscuro era quello che contava davvero. Restarono irrisolte le stragi, gli uomini della P2 si riciclarono all’interno della Istituzioni, la corruzione e la mala amministrazione continuarono a minare lo sviluppo dell’economia e il grado di legalità insito nella nostra gente.
Addirittura abbiamo ricominciato a riscrivere la storia, non perché non sapessimo benissimo come era andata e che da ogni parte c’erano stati torti e ragioni ma che l’amore per la libertà era stata solo da una parte.

No: si cominciò a litigare sul passato per poter litigare sul presente. Per potersi dividere non solo fra parti diverse, ma anche dentro la stessa parte.
Qualche giorno fa, sul palco della presentazione della mozione di Fassino a Roma, scambiavo due parole con Massimo D’Alema. Gli ho detto: “Certo tutto sarebbe più facile se Ds e Margherita a livello locale non litigassero tanto”. “Perché, i diessini non litigano già abbastanza fra loro?” mi ha chiesto e certo non aspettava da me una risposta.
Ma D’Alema, in quella occasione, aveva appena finito di spiegare cosa dice lui ai militanti che gli chiedono: perché dobbiamo cambiare ancora? Non ci siamo mossi abbastanza dal 1989? “Allora cominciammo un viaggio” ha detto il presidente dei Ds “un viaggio che non è ancora finito”. In questo senso la nascita del Partito democratico sarebbe la tappa finale di quel tragitto oltre il comunismo. Così come oltre la Democrazia cristiana e i partiti minori di quel tempo passato. Dunque un progetto che parte sì da lontano ma che ha il futuro come orizzonte, come tappa finale: un partito nel quale si possono portare con sé le idee migliori e più democratiche che la storia di ognuno ci ha consegnato. E che fa di questo patrimonio la forza e la radice per i prossimi decenni.
E’ su questo incontro della migliore democrazia della nostra storia che pensiamo dovrebbe fondarsi il partito nuovo che appunto “democratico” si chiama. E il lavoro culturale e politico che deve sostenerne la nascita proprio a queste due domande deve poter rispondere: perché ci uniamo, e quale Italia vogliamo per i prossimi cinquant’anni partendo dalla situazione presente.

A queste domande bisogna saper rispondere con entusiasmo e convinzione, se i leader di Ds e Margherita e quelli che lavorano nella società civile vogliono davvero mettere insieme tanta, ma tanta parte d’Italia.
L’ho presa un po’ alla lontana ma vengo a dire del manifesto per il Pd prodotto dai 12 saggi e attualmente all’esame dei partiti. Dobbiamo esser grati della fatica che essi hanno compiuto. Ma sentiamoci anche liberi di discutere, noi che crediamo davvero che il Pd possa essere l’occasione del rinnovamento della politica italiana, la nascita di un partito libero sì dalle ideologie ma forte delle sue idee democratiche e che proprio per questo può consentirsi di studiare le soluzioni per rendere più moderno il Paese.
Ecco, quello che manca nel manifesto è proprio l’essenzialità di un progetto di idee. Lo scritto dei “saggi” non è un manifesto, è un lungo capitolo di un programma di governo, una mozione congressuale. Non è forse ciò che ci aspettavamo, e che sarebbe stato molto utile a spiegare ai più dubbiosi quel “perché” e quel “progetto”. Alla fine della lettura delle 15 cartelle rimane ancora il dubbio su quali siano le fondamenta ideali per costruire insieme il grande partito. La necessità di mettere d’accordo tutti e tutte le anime dei singoli aderenti ha probabilmente pesato sulla possibilità di scelte nette, di una prospettiva senza equivoci.

Lo stato sociale nuovo, lo stato laico, lo stato pensoso dei giovani e delle donne, lo stato giusto, lo stato riformato: rimane il senso di un ecumenismo diffuso. Resta il dubbio di compromessi superflui, di una ispirazione generica che non ispira nessuno.
Siccome non siamo nati ieri ci rendiamo conto che scelte più nette avrebbero provocato forse lacerazioni. Però mi chiedo: se non ora, quando?
Non è questa occasione che guarda al futuro la grande occasione per essere tutti più coraggiosi, per dire davvero l’Italia che vorremmo e non quella che possiamo avere per non dispiacere qualcuno e perdere qualcun altro per strada? Sarebbe ad esempio davvero impossibile ribadire di fronte alla Chiesa l’autonomia della politica e della classe politica così come esse sono autonome in tutte le democrazie dell’Occidente? Ribadire che l’indipendenza dell’informazione e il pluralismo sono un bene prezioso e dovrebbero stare a cuore alla politica (basta interferenze, pressioni e spartizioni in Rai) almeno quanto ai giornalisti? Ribadire che ad ogni aumento di poteri del premier e del governo bisognerà prevedere un bilanciato potere del Parlamento? Possiamo sperare che un manifesto di pochi capoversi ne dedichi almeno uno al Mezzogiorno d’Italia, che deve poter uscire dal passato per volgere lo sguardo al futuro realizzando per intero l’equilibrio dell’unità nazionale?
Continueremo a credere in questa grande occasione, nonostante il “Bignami di buone intenzioni” (uso la definizione di un amico di LeG sul sito di LeG).

Cercheremo ancora quelle fonti di entusiasmo e di passione che sono indispensabili a far nascere l’anima di un grande partito.

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