L’ultimo Governatore della lira

19 Dicembre 2005

Nato nel 1936 ad Alvito, in provincia di Frosinone, sposato dal 1978 con la signora Maria Cristina, cinque figli, Fazio si laurea in economia a Roma nel 1960 con una tesi di laurea sui rapporti tra evoluzione demografica e sviluppo economico. Subito dopo la laurea vince una borsa di specializzazione della Banca d’Italia. Fino al 1962 resta al servizio studi per trascorrere poi un anno di approfondimenti al Mit, sotto la guida del futuro premio Nobel Franco Modigliani. Nel 1963 torna in Banca d’Italia, come esperto all’ufficio ricerche econometriche. Nel 1966 scatta l’assunzione di ruolo e compie un nuovo ciclo di studi al Mit, sotto la guida di grandi economisti come Modigliani e poi Samuelson, Arrow, Phillips. Nel 1972 diventa vice direttore e l’anno dopo capo del servizio studi. Nel 1976 assume il grado di condirettore centrale, continuando a dirigere il servizio studi. Dal 1980 è direttore centrale. L’ingresso nel direttorio di via Nazionale, come vicedirettore generale, arriva nel gennaio 1982. Nel maggio 1993 dopo le dimissioni di Ciampi, nominato presidente del Consiglio, diventa governatore.
Originariamente piuttosto euroscettico, ma protagonista della stabilità valutaria che ha consentito all’Italia di entrare nella moneta unica con il Governo Prodi-Ciampi. Paladino delle riforme strutturali, a iniziare da quella previdenziale. Cattolico e appassionato lettore di Sant’Agostino e Tommaso Moro, abituato a citazioni dotte, soprattutto in occasione delle “considerazioni finali”, Antonio Fazio, sarà ricordato anche come l’ultimo governatore della Banca d’Italia ad avere posto la sua firma sulle banconote in lire.
Fedele al panciotto e al completo d’ordinanza dei banchieri centrali, lo si può incontrare talvolta in visita alla chiesa di San Claudio nel centro di Roma oppure nelle vicinanze dell’hotel Schweizerhof a Basilea durante la tradizionale passeggiata per fumare il sigaro nelle pause delle periodiche riunioni della Banca dei regolamenti internazionali.

In politica è stato indicato più volte come possibile guida ora di uno schieramento ora dell’altro, sulla scia di quanto avvenuto per altri esponenti della Banca d’Italia, da Einaudi a Ciampi a Dini. La sua posizione è stata avvicinata a quella del centrodestra, quando è sembrato benedire le scelte economiche del Governo Berlusconi (nemmeno insediato) parlando di un possibile nuovo miracolo economico nelle sue considerazioni finali di fine maggio 2001.
Dopo di allora però i rapporti con il Tesoro, guidato da Giulio Tremonti si sfilacciano fino ad arrivare al rifiuto di Fazio a partecipare a una riunione del Comitato per il credito e il risparmio (Cicr) convocata da Tremonti il 16 ottobre 2003. Appuntamento mancato preceduto da un botta e risposta durato mesi. Prima Fazio avava bocciato alcune misure della Finanziaria 2003, appena varata dal Governo, e definito durante il Fmi di Dubai ancora una volta la riforma previdenziale solo un primo passo. Tremonti rilancia: «Se mi chiedono quali sono le cose da non fare certamente la prima è “Basilea-2”; la seconda è Cirio, un’operazione i cui effetti economici hanno minato la credibilità di questo Paese». Il caso Parmalat non è ancora scoppiato. Quando succede Tremonti va a passo di carica. Ma le divergenze sulla politica economica all’interno del Polo, soprattutto con il leader di An Gianfranco Fini, portano al dimissionamento di Tremonti. Per il governatore torna il sereno, ma dura poco. I commissari Ue alla Concorrenza e al Mercato interno gli chiedono chiarimenti su presunte restrizioni alle banche straniere in Italia.

Al Forex di Modena, nel febbraio 2005, risponde che non è vero e che il mercato italiano è aperto anche più di qualche altro Paese dell’area euro. Poi fa una passeggiata nel centro della città emiliana, insieme a Gianpiero Fiorani ed Emilio Gnutti: passa qualche mese e arriva la “bufera” estiva delle opa Antonveneta e Bnl, che sfocerà nelle dimissioni di lunedì 19 dicembre annunciate alle 16.23 con un flash Ansa.

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