Come salvare la democrazia dalla paura

Come salvare la democrazia dalla paura

Da sempre la Storia si alimenta dei nostri terrori, dai grandi conflitti in Europa fino ai sovranismi attuali. Anche lo Stato, diceva Hobbes, nasce così Per questo dobbiamo usare l’antidoto più potente e meno buonista: la fiducia segue dalla prima pagina Il consenso c’entra, ma come componente penultima; l’ultima è la paura. Se oggi il tema della paura domina le discussioni sulla crisi della democrazia, si tratta soltanto dell’emersione d’un elemento primordiale in tutte le società. È perfino superfluo ricordare che la più celebre rappresentazione dell’essenza dello Stato moderno, elaborata in un tempo di feroci lotte intestine su territori in cui si trovavano a coesistere fedi religiose e politiche implacabilmente nemiche, ebbe al centro il problema della liberazione dalla paura. Il Leviatano fu una filiazione della paura. Oggi le paure si sono moltiplicate, per esempio per la disponibilità di beni naturali essenziali che scarseggiano e per le cosiddette identità culturali minacciate dal cosiddetto multiculturalismo. Un tempo la paura riguardava il presente, oggi il presente e il futuro.

Dunque, tra tutte le componenti dell’ umana convivenza, la paura è la più determinante. Se si distingue la paura diffusa come veleno sociale dalla paura concentrata come strumento di dominio politico, si può dire che senza la prima, la seconda avrebbe vita stentata, perché si mostrerebbe nella sua totale arbitrarietà, sarebbe priva di legittimità, si reggerebbe sulla nuda forza senza giustificazione. I “regimi forti” non si basano, in ultima istanza, sulla forza, ma sulla paura perché la paura invoca la forza e la rende non solo tollerabile ma anche desiderabile.
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Tempo di paure, tempo di autoritarismi. La storia è testimone generosa di esempi, ma lo è anche l’attualità. Avanzano l’internalizzazione e la globalizzazione della paura. E la paura ci rende tutti più cattivi. Si salvi chi può. Prima noi, gli altri a mare.
La paura è intollerante perché induce alla barbarie del capro espiatorio e alla teoria del complotto. Una volta si trattava dei cristiani, poi degli ebrei, poi degli eretici e dei satanisti, poi dei massoni, poi delle cricche affaristiche, poi dei socialisti; infine dei migranti invasori, manovrati da oscure potenze. La costruzione del capro e dei complottisti è una formidabile arma politica perché divide la società coalizzando gli amici contro i nemici. Così nascono i “partiti della nazione” che chiamano a raccolta contro gli anti-nazionali, cioè gli internazionalisti e i cosmopolitici, e contro gli invasori. Nascono i populisti che pretendono di parlare in nome del popolo tutto intero, da noi in nome di “gli italiani”, e proclamano ch’essi vengono prima d’ogni altro. Fanno della paura altrui la loro forza.
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La divisione amico-nemico è la massima e più cruenta raffigurazione e, al tempo stesso, legittimazione e costituzionalizzazione della violenza come materia e strumento d’azione politica. È pieno di significato che quella dottrina, che è tenuta viva nelle diatribe dei dotti come nelle banalità e nei luoghi comuni, e talora nelle azioni di tante persone, sia stata elaborata tra le due grandi guerre, al tempo della cosiddetta “guerra civile europea”. Essa giustificava l’idea della politica come “integrazione”, parola di per sé piuttosto innocente, anzi pacifica, se indica semplicemente l’ ideale della con-vivenza dei distinti, ma che diventa parola terribile se sottintende l’esistenza di “non integrabili”. I non integrabili, infatti, devono essere tenuti ai margini, privati di diritti, respinti e perseguitati, e all’occorrenza eliminati.
Stabilire chi siano i nemici, i non integrabili, è “operazione sovrana” che si avvale di argomenti o fantasmi tratti da differenze e pregiudizi etnici e razziali, religiosi, politici, nazionali, ecc.
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Che il mondo non sia uniforme, alla stregua dei criteri ora detti, è un dato di fatto e, per qualcuno (tra cui chi scrive) anche una qualità positiva da preservare.
La democrazia non conosce quel genere di sovranità perché è per l’appunto una forma di convivenza per affrontare le diversità rispettandole. Quando, invece, le differenze da dato di fatto si trasformano in paure e ossessioni, diventano terreno di coltura di violenza. Si comprende facilmente che i nemici della democrazia soffino su questo fuoco. La paura, inoltre, è un ingrediente essenzialmente antipolitico, almeno per come la politica s’ intende nella democrazia moderna. A differenza delle concezioni antiche secondo le quali la politica era l’ arte del “buon governo” della polis, nelle concezioni democratiche odierne per politica s’ intende scelta dei fini e la competizione per perseguirli.
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Orbene, quando domina la paura queste cose diventano un lusso che non ci si può permettere. Di fronte al pericolo incombente, taccia la politica, tacciano i politici, anzi i “politicanti”, e si archivino vecchie categorie come quelle di “destra” e di “sinistra”. Esistono solo più nudi fatti che, come si dice, non sono né di destra né di sinistra, di fronte ai quali è vietato dividersi.
L’antidoto alla paura è la fiducia. È difficile dire se sia più “naturale” la paura o la fiducia. Sappiamo tuttavia per certo che ci sono fasi storiche in cui prevalgono la paura e i discorsi d’ odio. Questa è una di quelle. Il “buonismo” è un’ accusa alla quale pochi sanno ribattere.
Del valore della fiducia si è poco consapevoli forse perché essa è implicita nella democrazia, un regime politico che si basa sulla tacita promessa di fidarsi gli uni degli altri, cioè di non ingannarsi e di non cercare di sopraffarsi gli uni gli altri. Delle cose ovvie, non c’ è bisogno di dire. Nel linguaggio politico e giuridico la fiducia, tuttavia, compare con parole eticamente impegnative come fraternità e solidarietà. Poiché queste passioni o esistono o non esistono ma, evidentemente, non possono essere imposte per legge, le relative parole sono relegate nel linguaggio dolciastro, consolatorio, per l’appunto buonista di chi fa prediche costituzionali.
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Tuttavia, se le guardiamo dal punto di vista sociale, sono piene di contenuto. Come ogni coltivatore deve preoccuparsi non solo della salute delle piante ma anche e prima di tutto della buona qualità del terreno, così la democrazia ha sì bisogno di buone istituzioni, ma ancor prima di buona qualità del suo humus sociale. Qui, in quanto si desideri vivere in pace, siamo chiamati in causa. Tutti noi, nessuno escluso.
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La passività, l’indifferenza, l’estraneità, il “non mi tocca” sono la tentazione alla quale si cede facilmente per quieto vivere. «Non mi tocca ancora»: ricordiamo le parole pronunciate da un pastore protestante, Emil Martin Niemöller, in un periodo buio e terribile della storia che ci sta appena appena alle nostre spalle.
«Quando i nazisti presero i comunisti, io non dissi nulla perché non ero comunista. Quando rinchiusero i socialdemocratici io non dissi nulla perché non ero socialdemocratico. Quando presero i sindacalisti, io non dissi nulla perché non ero sindacalista. Poi presero gli ebrei, e io non dissi nulla perché non ero ebreo. Poi vennero a prendere me e non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa».
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la Repubblica, 28 marzo 2019

9 commenti

  • Su un punto particolare dissento da Zagrebelsky: la sua affermazione che l’etica della fiducia da un punto di vista sociale sia pieno di contenuto.
    Penso invece che l’etica della fiducia sia foriera di pesanti rischi perché lascia la società alla mercé dei malintenzionati.
    Trovo preferibile, anzi necessaria, un’etica della responsabilità, quella per cui chiunque assuma un ruolo che disponga di potere venga chiamato a rispondere e a pagare (cioè subisca sanzioni reali) in caso di cattivo utilizzo del suo potere. Tra i cattivi utilizzi del potere uno dei peggiori e dei più frequenti è l’omissione.
    Ritengo che uno maggiori problemi dei sistemi democratici sia l’enorme inefficacia dei meccanismi utilizzati per realizzare un’etica della responsabilità.

  • Fiducia e Paura sono inversamente proporzionali: se una sale l’altra scende e viceversa.

    Nel nostro paese la paura sale spontaneamente da molto tempo, in conseguenza della poca affidabilità e capacità della classe dirigente politica, che ci conduce lungo un percorso infinito di degrado, declino e debito pubblico.

    Infatti la DEMOS di I. Diamanti, nel suo annuale “Rapporto gli Italiani e lo Stato”, pubblicato dal 2007 ogni dicembre, certifica che la Fiducia della Cittadinanza nella politica, per la sua crescente mediocrità, non ha MAI superato il 10% , con punte sino al 3%…

    Essendo la Paura per il futuro a determinare l’atteggiamento interiore di ogni persona orientandone la ricerca di sicurezza, è facile, per chi brutalmente la offre e la cavalca per i propri fini di conquista del potere, ottenere consenso. Anche perchè non si presenta alcuna occasione di ritrovare Fiducia in un’offerta di conduzione alternativa alla mediocrità, oppure non essendo, questa occasione, sufficientemente evidente per una Cittadinanza in ampia regressione culturale.

    Soltanto l’assunzione di responsabilità di guida delle migliori eccellenze del Paese, conosciute e riconosciute come capaci e affidabili nel loro consolidato orientamento al bene comune, in un molto atteso Movimento Civico Nazionale per la Democrazia Costituzionale, potrà sostituire con la Fiducia la Paura. E deludere il truce Ministro della Paura!

    Sicuramente molto atteso, da alcuni consapevolmente, da tantissimi inconsapevolmente, per liberare finalmente un entusiasmo a lungo soffocato, ma indispensabile per cambiare il futuro.

    Paolo Barbieri, socio circolo La Spezia

  • Ho letto e riletto “E’ arrivato il tempo della resistenza civile” e “Come salvare la democrazia dalla paura” di Gustavo Zagrebelsky. Mi sembrano il racconto di una situazione e dopo purtroppo la resa incondizionata all’andamento senza nessun progetto pragmatico per influire al cambiamento auspicato del futuro.
    Interpreto, spero sbagliandomi: I Costituzionalisti già fecero il necessario purtroppo la nostra società è fatta da italiani che sono inadatti ad una società democratica.
    Consiglio all’esimio professore e a quanti altri vorranno farlo, la lettura del libro di Lorenzo Marsili e Yanis Varoufakis IL TERZO SPAZIO. Oltre establishment e populismo.
    Ho trovato proprio quanto manca, un programma politico che venne già utilizzato da Roosevelt dopo la terribile crisi del 1929.
    Per la mia posizione di estrema impreparazione, mentre facilmente da tempo mi sono reso conto e ho sofferto per le condizioni assolutamente disgustose in cui vive la società umana, ho cercato invano di recuperare nelle costruzioni del pensiero “La carta dei diritti dell’uomo”, “La costituzione” e altre pensate del genere, qualcosa che andasse oltre i buoni proponimenti. Ero in qualche modo riuscito a capire che l’evoluzione ha trasformato l’uomo diversificando l’individuo, rendendolo diverso attraverso le specializzazioni ed il modo in cui queste s’intrecciano per formare la rete estremamente complicata della società umana. I tentativi di esprimere la società più giusta, partono quasi sempre da buone intenzioni e inizialmente esprimono concretamente effettivi miglioramenti, ma successivamente, è proprio la complessità oggettiva delle reti di relazioni fra le specializzazioni che crea gli squilibri di potere facendo riemergere le incongruenze sociali tanto dolorose. Come è avvenuto in passato il fenomeno ciclico del riequilibrio e del successivo squilibrio? L’analisi degli ultimi due secoli che hanno fatto gli autori del libro prima menzionato ce ne suggeriscono la logica evolutiva. Prendendo la rete sociale come possibile modello, mi sembra interessante considerare che la rete delle relazioni, costruita attraverso strutture di sottorete che in modo pressoché naturale conseguono dalle specializzazioni degli individui. Certo ogni individuo partecipa alle relazioni della società, ma il suo potere conflittuale dipende dalla sua posizione gerarchica raggiunta nella sottorete. La complessità interviene come spinta evolutiva dimodoché la società è un organismo in continuo divenire e il singolo può veramente poco senza partecipare, scegliere e profondere impegno in una sottorete, fornendole quel minimo, molto prossimo a zero che gli viene dato.
    Ammetto immediatamente di parlato esprimendo alla fine concetti strapieni di contraddizioni, ma nessuno nasce imparato. Non ci sono forse gli strapotenti? Ma lo strapotere non gli è stato forse dato da chi li sostiene? La democrazia è questo? O solo questo?
    Risolve qualcosa formalizzarlo meglio? O non fornirebbe solo altre illusioni e successive disillusioni aumentando ancora di più Il senso di estrema impotenza del singolo individuo: “parole, parole, parole!” e dopo i necessari miglioramenti fatti più che altro per far accettare alle persone di fare quanto ci interessa, ritornare ai comportamenti precedenti. Allora meglio giocare a carte scoperte, riconoscere come è fatta la società e tenerne in debito conto senza pretendere che le regole possano sopperire pienamente alle disfunzioni dimenticando il necessario supporto pragmatico.

  • Sappiamo che l’attuale ventata di odio razziale cui si abbandonano diversi “Italiani”, sentendosi in qualche modo “capiti” se non protetti dall’alto, nasce dalla paura di perdere risorse economiche e sicurezza sociale. Il gesto razzista sul capro espiatorio di turno ha il valore catartico-simbolico di chi si sente autorizzato a compiere il Male come atto di giustizia riparativa per salvaguardare il proprio benessere. Ma nasce anche dall’idea illusoria di essere destinatario come “italiano”, di una sorta di categoria inesistente ma supposta politicamente protetta. Infatti gli manca la protezione dal “pizzo” mafioso (nostrano, non quello nigeriano), dagli incidenti sul lavoro, dal lavoro ultraprecario, dagli aumenti della fiscalità locale e prossimamente dell’IVA, dai prossimi tagli a pensioni e sanità per far fronte al Debito e alla copertura di quota 100 e del Reddito di cittadinanza, dagli assassini di donne (per lo più italianissimi) e da uno Stato che crea etilisti e ludopatici. Mi chiedo quanto ci impiegheranno i razzisti più rabbiosi a capire che stanno indirizzando il loro astio verso l’obiettIvo sbagliato.

  • Democrazia degli atti quotidiani
    Con questo titolo il 28 marzo a Torino il prof. Gustavo Zagrebelsky ha tenuto una lectio, di cui un estratto è stato pubblicato da Repubblica con il titolo “Come salvare la democrazia dalla paura.”
    Per la prima volta, dopo qualche decennio, mi accade di dissentire dalle idee di Zagrebelsky. Egli scrive:
    “Le istituzioni che abbiamo creato, a incominciare dallo Stato, sono figlie della paura… Se, per ipotesi utopistica, (lo Stato) vincesse definitivamente la sua battaglia contro la paura, non avrebbe più ragione di esistere…Il circolo vizioso della società dei paurosi sta in questo: la soluzione si ricerca in altra paura, in paura maggiore che prevalga sulle minori… Più ho paura, più sono disposto a sottomettermi… Oggi le paure si sono moltiplicate, per esempio per la disponibilità di beni naturali essenziali che scarseggiano… Se si distingue la paura diffusa come veleno sociale dalla paura concentrata come strumento di dominio politico, si può dire che senza la prima, la seconda avrebbe vita stentata… E la paura ci rende tutti più cattivi. Si salvi chi può. Prima noi, gli altri a mare. La paura è intollerante perché induce alla barbarie del capro espiatorio e alla teoria del complotto… La costruzione del capro e dei complottisti è una formidabile arma politica perché divide la società coalizzando gli amici contro i nemici… La divisione amico-nemico è la massima e più cruenta raffigurazione e… legittimazione e costituzionalizzazione della violenza come materia e strumento d’azione politica… ricordiamo le parole pronunciate da un pastore protestante, Emil Martin Niemöller…: ‘Quando i nazisti presero i comunisti, io non dissi nulla perché non ero comunista… Poi vennero a prendere me…’
    Le mie ricerche mi hanno portato a concludere che le istituzioni sono figlie del malaffare, non avendo trovato nella mia vita un centro di potere incorrotto. Nel nostro Paese il sistema di potere è fondato sull’illegalismo, e le parole sovranismo, razzismo, paura, veleno sociale, intolleranza, capro espiatorio, complotto, amico-nemico servono solo a connotare la maschera degli attori politici del momento.
    Come qualificare chi vuole costruire ponti con l’Africa mentre nel Paese i ponti crollano, esistono le baraccopoli, gli anziani sono torturati nelle case di riposo, i senzatetto muoiono sui marciapiedi, 300 mila minori sono privati dei loro diritti fondamentali, i lavoratori sono sfruttati, i parassiti e i criminali si arricchiscono? E perché mai decine di milioni di lavoratori e deboli, derubati da una minoranza di criminali, dovrebbero preoccuparsi degli “altri”?
    Il Governo, controllando i poteri legislativo e giudiziario, rappresenta la cupola di Cosa Nostra; i partiti, associazioni private, hanno occupato le istituzioni pubbliche e, di fatto, amministrano i beni pubblici nell’interesse della classe dirigente e di coloro che la sostengono. Il Capo dello Stato rappresenta l’organo di garanzia non della Costituzione, ma dei poteri dello Stato: tra un giudice impreparato o corrotto e un lavoratore danneggiato dall’attività giurisdizionale, egli si pone dalla parte del giudice.
    Al cittadino che osa denunciare ai rappresentanti delle pubbliche istituzioni le violazioni di legge da parte di chi esercita una pubblica funzione viene opposto il silenzio, oppure (raramente) viene data una risposta elusiva, tale che egli non è in grado di distinguere, dinanzi all’atteggiamento comune in difesa dell’illegalità, l’imbecille dal criminale.
    E qual è l’atteggiamento dei difensori della Costituzione, violata quotidianamente da mille atti antidemocratici? Essi tacciono se:
    1) i parlamentari, frequentatori più degli studi TV che del Parlamento, affidano ai magistrati il compito di indicare al cittadino (anche dopo 14 anni!) il giudice “precostituito per legge” (Cost., art. 25); norma che “ha lo scopo di dare al cittadino la certezza circa il giudice che lo deve giudicare” (Corte Cost. n. 22/1959);
    2) i magistrati attendono la strage di Viareggio del 2009 per occuparsi degli atti illegali degli amministratori delle Ferrovie dello Stato;
    3) il Capo dello Stato con il silenzio o a chiare lettere fa capire al cittadino che il giudice non ha l’obbligo di osservare l’art. 101 (e altri) della Costituzione;
    4) la schiera dei pubblici ufficiali incompetenti o corrotti è foltissima;
    5) gli economisti si rifiutano di valutare i costi ingenti della pubblica illegalità;
    6) editori e direttori di giornali ritengono di non dover rendere noti ai cittadini i fatti narrati nei saggi “La Repubblica del privilegio e del malaffare”, “LA COSTITUZIONE TRADITA” e “L’ordinamento disordinato”.
    I costituzionalisti farebbero bene a tenere presenti le parole del pastore Niemöller, perché in una Repubblica democratica fondata sul lavoro i lavoratori, vincendo la paura, potrebbero costringere un capopopolo a prendere severi provvedimenti nei confronti dei responsabili dei mille quotidiani atti antidemocratici.
    06.04.2019

  • Egr. Antonio Palese
    La sua analisi “Democrazia degli atti quotidiani” del 7 aprile, esprime compiutamente e con efficacia i termini del Problema della Società Umana. Infatti, anche se le sue osservazioni si riferiscono alla sola Italia, la sua esemplificazione può facilmente essere modello per capire quali sono i principi reali che soprassiedono alla costruzione della intera società umana. Fra tutte le sfide che si propongono all’uomo mi sembra che la più importante e la più complicata sia proprio quella di riuscire ad esprimere con chiarezza un obiettivo globale condiviso e migliorativo e una strategia ugualmente globale e condivisa per fare passi decisivi nella giusta direzione.
    Fino ad oggi emergono facilmente situazioni di disfacimento che inducono gli individui ad atteggiamenti di egoismo sostenuti dalle tante delusioni patite e dai benefici personali e illusori, ottenuti quando si hanno pensato solo a sé stessi.
    La Società è l’aspetto più o meno organizzato mediante regole che soprassiede all’esistenza della comunità umana vivente. Le sue manifestazioni di esistenza vivente consistono nelle relazioni fra individui. È proprio con l’analisi più rigorosa delle manifestazioni che possiamo fare la distinzione necessaria fra le regole formali e lo sviluppo reale della società. La Società si esprime con le risultanze reali e cioè: l’insieme di abitudini, di condizioni oggettive, di organizzazioni strutturate per la difesa del potere acquisito, di organizzazioni strutturate per sostenere al contrario l’acquisizione del potere, della organizzazione della produzione dei beni e delle sue interrelazioni con le due precedenti strutture organizzate, delle organizzazioni preposte al mantenimento delle regole formali stabilite, di modo che tutto l’insieme delle attività che interagiscono nella società ne seguano le direttive.
    Governare una comunità umana formata da 7,2 miliardi di individui, ciascuno invece espressione della propria volontà di vivere è un problema talmente gravoso da potersi addirittura confrontare come complessità con la stessa esistenza dell’universo. Ho esagerato ma la mia affermazione è chiaramente condizionata dall’appartenenza a quei 7,2 miliardi di individui che hanno ciascuno l’interesse alla propria sopravvivenza senza evidentemente ancora aver saputo trarre dalla conoscenza degli esempi della natura le indicazioni di quali siano le modalità per un disegno basato sulla collaborazione invece che esclusivamente sulla capacità individuale.
    Il Problema è complesso e difficile ed inoltre investe situazioni di necessità non più procrastinabili che riguardano la società umana globalmente. La natura umana che spinge la società umana a comportamenti sospinti da abitudini rende difficile operare secondo modalità che non siano supportate dalla cultura più accettata, ma gli strumenti in nostro possesso per cambiare la cultura vengono adoperati in modo anarchico arbitrario per convenienza di parte da chi ha più potere. Questa convenienza difficilmente coincide con l’interesse globale. Chiaramente il giudice in condizione di decidere quale sia il programma delle attività future più opportuno potrebbe essere solo la stessa comunità umana resa pienamente informata e consapevole degli impatti delle attività sulle proprie condizioni. In questo momento i singoli cittadini non sono nemmeno in condizione di imporre a chi si propone come governante di rispondere quando formulano il programma alla domanda di come pensano di modificare l’organizzazione della società per renderla più resiliente, cioè meno soggetta ai disastri che dipendono dall’impostazione attuale.
    I Politici, nessuno escluso, continuano imperterriti attraverso il principio dell’inerzia delle abitudini culturali a formulare programmi che promettono cambiamenti per non cambiare niente. Chi ha il potere detta le leggi in modo che la cultura generale esistente non venga assolutamente modificata.
    L’azione Politica efficace e veramente riformatrice è chiaramente difficile, secondo me, anzi secondo From nel suo libro “Psicanalisi della società moderna” deve essere chiarito l’obiettivo in modo sintetico; per capirci con modalità simile a quella dei dieci comandamenti di modo che venga raggiunto facilmente il consenso globale e successivamente formulare programmi pragmatici delle attività naturalmente mai in contrasto con i principi fondamentali. Le attività programmate insieme al dettato dei principi promuoveranno in modo conseguenziale coerente l’organizzazione meglio mirata all’esecuzione pragmatica delle attività stesse. Naturalmente il sistema attuale si difenderà con tutti i mezzi a disposizione che sono potentissimi perché impostati sul principio di essersi adattati alle attuali modalità per vivere e si esprimono con violenza mascherata da necessità, dicendo: Dobbiamo pur vivere, lasciateci vivere in santa pace!!!

  • Egr. Antonio Palese
    La sua analisi “Democrazia degli atti quotidiani” del 7 aprile, esprime compiutamente e con efficacia i termini del Problema della Società Umana. Infatti, anche se le sue osservazioni si riferiscono alla sola Italia, la sua esemplificazione può facilmente essere modello per capire quali sono i principi reali che soprassiedono alla costruzione della intera società umana. Fra tutte le sfide che si propongono all’uomo mi sembra che la più importante e la più complicata sia proprio quella di riuscire ad esprimere con chiarezza un obiettivo globale condiviso e migliorativo e una strategia ugualmente globale e condivisa per fare passi decisivi nella giusta direzione.
    Fino ad oggi emergono facilmente situazioni di disfacimento che inducono gli individui ad atteggiamenti di egoismo sostenuti dalle tante delusioni patite e dai benefici personali e illusori, ottenuti quando si hanno pensato solo a sé stessi.
    La Società è l’aspetto più o meno organizzato mediante regole che soprassiede all’esistenza della comunità umana vivente. Le sue manifestazioni di esistenza vivente consistono nelle relazioni fra individui. È proprio con l’analisi più rigorosa delle manifestazioni che possiamo fare la distinzione necessaria fra le regole formali e lo sviluppo reale della società. La Società si esprime con le risultanze reali e cioè: l’insieme di abitudini, di condizioni oggettive, di organizzazioni strutturate per la difesa del potere acquisito, di organizzazioni strutturate per sostenere al contrario l’acquisizione del potere, della organizzazione della produzione dei beni e delle sue interrelazioni con le due precedenti strutture organizzate, delle organizzazioni preposte al mantenimento delle regole formali stabilite, di modo che tutto l’insieme delle attività che interagiscono nella società ne seguano le direttive.
    Governare una comunità umana formata da 7,2 miliardi di individui, ciascuno invece espressione della propria volontà di vivere è un problema talmente gravoso da potersi addirittura confrontare come complessità con la stessa esistenza dell’universo. Ho esagerato ma la mia affermazione è chiaramente condizionata dall’appartenenza a quei 7,2 miliardi di individui che hanno ciascuno l’interesse alla propria sopravvivenza senza evidentemente ancora aver saputo trarre dalla conoscenza degli esempi della natura le indicazioni di quali siano le modalità per un disegno basato sulla collaborazione invece che esclusivamente sulla capacità individuale.
    Il Problema è complesso e difficile ed inoltre investe situazioni di necessità non più procrastinabili che riguardano la società umana globalmente. La natura umana che spinge la società umana a comportamenti sospinti da abitudini rende difficile operare secondo modalità che non siano supportate dalla cultura più accettata, ma gli strumenti in nostro possesso per cambiare la cultura vengono adoperati in modo anarchico arbitrario per convenienza di parte da chi ha più potere. Questa convenienza difficilmente coincide con l’interesse globale. Chiaramente il giudice in condizione di decidere quale sia il programma delle attività future più opportuno sarebbe la stessa comunità umana resa pienamente informata e consapevole degli impatti delle attività sulle proprie condizioni. In questo momento i singoli cittadini non sono nemmeno in condizione di imporre a chi si propone come governante di rispondere quando formulano il programma alla domanda di come pensano di modificare l’organizzazione della società per renderla più resiliente cioè meno soggetta ai disastri che dipendono dall’impostazione attuale.
    I Politici, nessuno escluso, continuano imperterriti attraverso il principio dell’inerzia delle abitudini culturali a formulare programmi che promettono cambiamenti per non cambiare niente. Chi ha il potere detta le leggi in modo che la cultura generale esistente non venga assolutamente modificata.
    L’azione Politica efficace e veramente riformatrice è chiaramente difficile, secondo me, anzi come dice From in “Psicanalisi della società contemporanea” deve essere chiarito l’obiettivo in modo sintetico; per capirci con modalità simile a quella dei dieci comandamenti di modo che venga raggiunto facilmente il consenso globale e successivamente formulare programmi pragmatici delle attività naturalmente mai in contrasto con i principi fondamentali. Le attività programmate e il dettato dei principi promuoveranno in modo conseguenziale coerente l’organizzazione meglio mirata all’esecuzione pragmatica delle attività stesse. Naturalmente il sistema attuale si difenderà con tutti i mezzi a disposizione che sono potentissimi perché impostati sul principio di essersi adattati alle attuali modalità per vivere ed esprimono con violenza mascherata di necessità, dicendo: Dobbiamo pur vivere, lasciateci vivere in santa pace!!!

  • Care/i Soci/e
    Ci troviamo in un momento nel quale è necessario formulare un programma per la nostra organizzazione che stabilisca alcuni obiettivi da seguire come singola unità ma questo non basta; vista la situazione del Paese ritengo necessaria una Coalizione che comprenda il massimo numero di raggruppamenti, a partire dai più grandi, che, a vario titolo, si battono da anni per la difesa dei diritti dei più deboli, dell’ambiente, dei giovani, dei lavoratori.
    All’inizio di quest’anno attività simili sono già partite definitivamente come IL COMITATO BENI COMUNI o COMITATO RODOTA’, cui noi siamo associati, ed il FORUM DISUGUAGLIANZE e DIVERSITA’(che il 20 marzo ha presentato al Presidente Mattarella 15 proposte per la giustizia sociale).
    Il COMITATO RODOTA’oltre a proporre un referendum perché venga messa in discussione alle Camere la giacente proposta di legge RODOTA’ sui BENI COMUNI ha creato, su impulso del prof. Mattei, una società cooperativa (LIP) di mutuo soccorso intergenerazionale che dovrebbe permettere una maggiore facilità nella proposizione di campagne pubblicitarie, referendum e simili avendo realizzato, si spera, una diffusa presenza in tutti i territori.
    E’ un’ ottima iniziativa; ma alcuni pensano che questo referendum possa fare la fine di quello sull’acqua ed, inoltre, una serie di associazioni non ha gradito di essere stata interpellata dopo che i promotori avevano già creato la LIP e già formato la struttura organizzativa. Al momento ci sono iniziative non concordate con tutti ed alcune grandi strutture non mi pare siano coinvolte direttamente.
    La mia proposta è che i nostri esponenti più noti contattino le Associazioni che conoscono meglio, a partire dalle più grandi, per discutere della necessità di creare una Coalizione che comprenda le forze migliori, gli intellettuali più validi, i giovani , le donne, per costituire, nel medio termine, un forte gruppo di pressione teso a migliorare la situazione del Paese ed il grado di preparazione dell’opinione pubblica. Una Coalizione che parli alle scuole, le università, al pubblico con obiettivi importanti che un “comitato direttivo” potrà di volta in volta individuare.
    Non sarà una cosa facile ma è necessaria e lavorando sul passaparola e con grande apertura mentale, si potrebbero avere risultati forse sorprendenti. Infine penso sia opportuno che le discussioni avvengano tra i primi livelli sia per la rapidità decisionale che si può ottenere sia per evitare le resistenze di chi, facendo parte di un apparato, teme le novità esterne.
    Naturalmente ogni Associazione porterà avanti le attività di suo diretto interesse come prima.
    Un cordiale saluto Giuseppe Brizzi socio ordinario Roma

  • Egr. Sig. Giuseppe Brizzi La ringrazio per avermi dato l’opportunità di leggere le 15 proposte del Forum Diseguaglianze Diversità. Ritengo che l’iniziativa abbia un potenziale altissimo per diventare strumento che incida sulla cultura e sull’opinione pubblica. Poiché l’impostazione della società è organizzata nel senso di affidare il potere a chi ha più consenso studiare metodiche nuove per la società può rimanere lettera morta se tutto l’insieme delle innovazioni non viene sospinto utilizzando gli strumenti della penetrazione nell’opinione pubblica. Il singolo cittadino deve, secondo me, ricevere il messaggio che qualcuno si sta occupando di studiare in profondità le questioni che gli procurano o gli continuano a procurare disaggio. Ma proprio in ragione della sua propria esperienza gli si deve chiedere consiglio e perciò lo strumento deve potenziare le proprie capacità di ascolto. Le persone ascoltate si ritroveranno coinvolte in discussioni che oltre allo scopo di migliorare il disegno delle proposte indirizzeranno il loro voto delle elezioni.
    Inoltre, sembra che il tema principale della Giustizia Sociale abbia fatto escludere dalla trattazione problematiche invece molto rilevanti che funzionano esprimendo poteri capaci di grande influenza sullo stato sociale e oggi, sempre vincenti per chi li gestisce favorendo i propri interessi.
    Mi riferisco ai problemi:
    Che insorgono in seguito alle operazioni che influenzano i grandi flussi di denaro. Possono essere interessanti le proposte di Lorenzo Marsili e Yanis Varoufakis in “Il terzo spazio, oltre establishment e populismo”.
    Che insorgono a causa della emigrazione. È strano il comportamento attuale dell’uomo. Infatti è sua abitudine considerare i problemi come occasione per intraprendere un lavoro invece in questo caso gli stati d’Europa che avrebbero bisogno di aumentare la popolazione per far fronte alla diminuzione demografica fanno a scaricabile e nessuno pensa a fare da tramite organizzando il flusso con proprio beneficio economico come qualsiasi impresa: cioè svolgendo per esempio in Italia meridionale l’attività di preparazione (insegnamento delle lingue dei paesi di destinazione e dei mestieri necessari utilizzando i tanti cittadini del meridione disoccupati) e gestione economica dei flussi attraverso agenzie di collocamento.
    Che insorgono a causa della cattiva gestione della Giustizia Civile e Penali che sono diventati un grande carrozzone produttore di attività la cui materia prima sono il vivere fuori dalle regole. Quanti sono coloro che vivono in quell’ambito? Che cosa farebbero se tutti i cittadini vivessero secondo le regole? Dovremmo forse inventare nuovi reati?
    Che insorgono a causa della natura e del nostro non saperci vivere dentro.
    ………….
    Saluti Giuseppe Ambrosi

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