Sappiamo ormai che né Matteo Renzi né Enrico Letta temono i moniti della Storia - il primo non si fa intimorire da precedenti sfortunati, il secondo ama le regole però le considera secondarie alle Istituzioni – ma forse entrambi dovrebbero in queste ore riflettere almeno sui moniti del ridicolo.
Ridicolo è l’unico termine proprio per definire il clima di questo passaggio politico, sbracato nei modi, nello stile e nella sostanza. Una staffetta di governo, cioè un cambio al vertice del paese viene giocato fra due individui, che ne discutono faccia a faccia come se il loro posto fosse una questione personale, che ne discutono in sedi istituzionali come Palazzo Chigi ( uno ci va con la smart , segno di giovanilismo e semplicità da cui dovremmo farci affascinare come accade al presente (e futuro) ministro Franceschini che la fotografa?) per decidere tra loro come, quando , e se, passarsi di mano un potere per cui nessuno dei due è stato votato.
Sullo sfondo la suprema assise di questa contesa fra i due, c’è la direzione di un partito, il Pd. Un solo partito che decide come e quale premier darsi? Abbiamo capito bene? Un partito, che esso stesso, ricordiamo bene, ha a malapena vinto le elezioni, come ammesso dai propri dirigenti. Un clima da ragazzi del muretto. Altro che Blair e Brown – si facciano sotto coloro che vogliono spiegarci le somiglianze tra i casi, e si ricordino del conto dei voti del Labour: Blair aveva vinto tre mandati mentre i voti su cui si regge il Pd attuale sarebbero invisibili senza premio di maggioranza.
Nel frattempo circolano già liste di ministri – c’è bisogno di sottolineare quanto poco istituzionale questo sia? Anche se devo dire che se son quelle che si anticipano ( ma non ci posso credere) non si capisce nemmeno perché si dovrebbe cambiare governo.
Tutti gli altri, i partiti, di centro destra e sinistra, si stanno rendendo ridicoli a loro volta – ma loro almeno consapevolmente (speriamo) – ognuno attento ai propri interessi: partitini che si spaccano con un occhio ai ministeri e al sottogoverno, altri che gestiscono in silenzio l’ennesimo tradimento , da Letta a Renzi, ma anche da un posto all’altro nella scacchiera governativa.
Il Presidente Napolitano da parte sua aggiunge a questo percorso, insieme privatistico e confuso, il paletto di un nonchalant “parlare di elezioni è una sciocchezza”.
Il ridicolo ( parola molto offensiva in politica, lo so – la politica ama il dramma ma non il melodramma) che segnalo è il frutto dell’abbandono di un percorso istituzionale a favore di un fai da te di consultazioni pubbliche, improvvisate , sparate in Tv e conferenze stampa. Segno della eccessiva personalizzazione del sistema.
Frutto a sua volta dal distacco totale da qualunque mandato elettorale. Non c’è bisogno di essere costituzionalisti per dire che è arrivato il momento di dichiarare che siamo di fronte a una crisi del governo, che c’è un presidente del consiglio sfiduciato sia pur non in aula ma via media e streaming del suo partito ed altri, e che è in corso una sorta di auto-mandato esplorativo .
È necessario, obbligatorio direi, dunque che questa successione torni nell’unico luogo autorizzato a gestirla: il Parlamento. Che la crisi venga ufficializzata e affrontata con mozioni, discussione pubblica, e voto. Ritornando poi sul tavolo di Napolitano per consultazioni ufficiali ed eventuale nuovo incarico.
Il solito gioco di inversione dei ruoli che serve sempre a svegliare i democratici in questo caso funziona particolarmente bene: che avrebbe detto il Pd e tutta la opinione democratica se fosse Berlusconi a gestire in questo modo un passaggio a Palazzo Chigi?
La successione di Renzi a Letta, se accadrà, è davvero un passaggio serio della repubblica. Qualunque sia la ragione per appoggiarla, o volerla, alla fine di questo percorso ci ritroveremo con il terzo premier non votato dal 2011. Il che significa che siamo meravigliosamente sulla strada della evoluzione dell’Italia , unica nazione europea, in una Repubblica Oligarchica. Altro che riforme per guarire la crisi di rappresentanza .
Il modo trascurato con cui si trattano oggi luoghi e modi delle istituzioni, è il primo segno di questa evoluzione. Le oligarchie infatti non hanno bisogno di buone maniere – tanto non devono rendere conto a nessuno. Ma forse è giusto in queste ultime ore ricordare ai due contendenti che questa evoluzione non è una strada obbligata. Enrico Letta ha sempre detto di mettere avanti a tutto , anche a personale destino, le istituzioni. Matteo Renzi si è presentato addirittura alla ribalta come l’antioligarca per eccellenza.
C’è ancora una strada , se vogliono: lavorino per andare alle elezioni il più presto possibile. Non mi interessa in che posizione di status tra loro. Prima che il sistema inghiotta entrambe le loro identità.
Ormai non possiamo aspettarci nulla da questi maggiorenti del PD. I nuovi (diciamo i quarantenni) olezzano già di vecchio, alla faccia dei cittadini, anche di coloro che si entusiasmano (o si sono entusiasmati) per l’arrivo del nuovo, Matteo Renzi. Ma ci rendiamo conto che sembra di essere ritornati ai tempi della DC e del PSI? Verifica, rimpasto, staffetta…tutto concentrato in un solo partito autoreferenziale, ircocervo del nulla e di molti dei peggiori vizi della politica italiana, compresa la ventennale tendenza all’ “uomo solo al comando”, esercitato dalle poltroncine televisive. Del renzismo ne ho già piene le tasche ancor prima che inizi, altrettanto dicasi dei quarantenni renziani (e chi li distingue dai sessantenni che li hanno preceduti?) che affollano Vespa/Santoro/Floris e compagnia cantando, facendo opposizione al governo da dentro il governo…un po’ come i forlaniani con gli andreottiani e i demitiani con i fanfaniani e orrori consimili. Sarebbe meglio che tornassero a studiare e si ripresentassero fra un po’ di anni, altro che Farinetti e Baricco potenziali ministri…
“L’abbandono di un percorso istituzionale a favore di un fai da te di consultazioni pubbliche, improvvisate , sparate in Tv e conferenze stampa. Segno della eccessiva personalizzazione del sistema”. Questo è il cuore del problema, l’essenza della degenerazione del sistema politico che discende dal progressivo distacco e disprezzo per le regole costituzionali, vissute come vuoti formalismi che attendono una radicale riforma. Detesto le smart, le biciclette, le concioni in maniche di camicia, i giubbotti alla Fonzie, le inerviste intimistiche nel salotto di casa con il cane accoccolato ai piedi. Detesto questa spericolata rincorsa dell’immagine che ha avuto in Berlusconi il suo primattore e che sta trovando in Renzi il suo epigono. Vorrei un premier in completo grigio, schivo, riservato, noioso, con l’autista e la cartella, disponibile a parlare solo con atti e discorsi ufficiali. Un presidente del consiglio che incarni l’impersonalità dell’istituzione.
Già! Che senso ha? E Napolitano quando prenderà atto dei suoi fallimenti e se ne andrà? La stampa sedicente “libera” quando si deciderà chiedere le dimissioni di questo pessimo presidente? Se non ci liberiamo di Napolitano e di questa legge elettorale non usciremo mai dalla m. in cui cadiamo sempre di più.
Perfettamente d’accordo! Ci saremmo chiesti anche sulle iniziative del presidente Napolitano alla nomina di Monti: se questo avesse fatto Berlusconi che avremmo detto? Dal 2011 sta emergendo che non aggradano gli esiti delle elezioni, quello reale come quelli presunti in base ai sondaggi, ai nostri vertici dello Stato. Se liberarsi di quel peso e di quell’onta che il Cav ha rappresentato e purtroppo continua ancora a rappresentare significa questo, temo che per l’Italia il cammino verso la democrazia sia una partita persa.
Non mi ha mai appassionato Letta, ancora meno Renzi, e sono felice di non aver partecipato alle ultime primarie del PD. Però non capisco questo mantra che imperversa sugli scritti di tutti, tutti, i commentatori politici: Renzi sarebbe (incredibilmente) il terzo presidente del consiglio arrivato a quella carica senza passare dal voto. Mi chiedo: nella storia della Repubblica, quando mai un presidente del consiglio è stato votato direttamente dai cittadini? Non si è detto e stradetto che alle elezioni politiche il leader di un partito o di una coalizione NON è anche il candidato futuro premier, ma solo il capo di quella parte politica? E’ incontrovertibilmente vero invece che ogni capo di governo diventa tale dopo l’incarico dato dal Presidente della Repubblica, che ne ha il potere, e dopo il voto di fiducia di ciascuno dei due rami del Parlamento. Quindi un voto c’è sempre. Cioè: senza il gradimento del Parlamento, e non solo del PD, il governo Renzi semplicemente non nascerà. Che poi il voto del Parlamento in questa materia sia rappresentativo della volontà popolare è tutta un’altra questione. Intendo dire, banalmente, che le elezioni politiche servono a cambiare il Parlamento, non a cambiare il governo; se fosse vero il contrario, staremmo freschi! E’ senz’altro strano (ma forse lo si è già visto ai tempi della vecchia DC) che un partito (oggi il PD) sfiduci di fatto un premier che di quel partito è espressione. Bisogna però tenere presente che la mossa renziana ha avuto l’avallo esplicito e ufficiale della grande maggioranza della direzione nazionale del partito (una direzione che pare non abbia avuto niente a ridire nemmeno sulla “agibilità politica” gentilmente regalata da Renzi all’ex senatore Berlusconi con la faccenda dell”Italicum”) . Quindi semmai bisogna interrogarsi sul meccanismo di costruzione delle decisioni dei partiti, e se questi meccanismi corrispondano a effettivi criteri di democrazia.