Contro la violenza sulle donne ripartiamo dalla scuola

22 Nov 2013

In occasione del 25 novembre proclamata nel 1999 dall’Onu “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, la giornalista di Rainews24 Maria Vittoria De Matteis presenta il suo ultimo volume ‘Donne in cronaca’. Nel libro proposte concrete di dieci uomini – noti e meno noti – su come arginare l’imbarbarimento dei rapporti uomo-donna.

violenzaIn occasione del 25 novembre proclamata nel 1999 dall’Onu “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, la giornalista di Rainews24 Maria Vittoria De Matteis presenta il suo ultimo volume ‘Donne in cronaca’ nella sala Peppino Impastato di Palazzo Valentini, sede della Provincia di Roma. Con lei, parleranno la presidente di Solidea M.Grazia Passuello, il presidente di Publicità Progresso Alberto Contri, il coordinatore del circolo romano di LeG Massimo Marnetto, il membro della Commissione Pari Opportunità Usigrai Marina Cocozza e il membro del Consiglio Direttivo di Stampa Romana Fabrizio De Jorio. Nel volume raccolte le proposte concrete di dieci uomini – noti e meno noti – su come arginare l’imbarbarimento dei rapporti uomo-donna.

Che disponibilità ha trovato da parte loro?

Una doverosa premessa è che moltissimo si deve ancora fare: pochi i centri antiviolenza a titolarità pubblica, e gli esistenti sono gestiti in larga parte da associazioni di donne che prestano lavoro volontario o coperto solo in minima parte da convenzioni stipulate con gli ambiti territoriali. Posto che la violenza è tra i primi fattori di disgregazione sociale e di impossibilità di una relazione sana tra uomini e donne, adolescenti, adulti e anziani, con forza noi donne – ma anche sempre più uomini – sosteniamo l’idea che ogni donna e ogni uomo abbiano il diritto ad essere trattati nella società con dignità e rispetto. Detto questo, pare che le coscienze di alcuni uomini si stiano ‘destando’, relativamente a temi che parlano di ‘donne in cronaca’ ma che non sono argomenti ‘femminili’: il femminicidio è un problema degli uomini, e i dieci che ho intervistato lo ammettono apertamente. Il mio campione è costituito da operatori della comunicazione, o che svolgono un lavoro a contatto con uomini o che hanno un loro pubblico di riferimento su cui incidere positivamente. Si va dal sacerdote al writer, dall’attore al pubblicitario, dal psicoterapeuta al giornalista, dal blogger al personal trainer. Grottesca la chiave di lettura adottata dal primo contributo, quella criminologica. Il comune denominatore del campione è la presa di coscienza della gravità del reato in questione, e che il problema sia squisitamente del loro genere.

Qual è la situazione attuale sul territorio italiano e quanto, i centri attualmente in essere, assolvono al loro ruolo di assistenza e tutela?

Il 1522 – numero di emergenza donne gratuito attivo 24h su 24 dal 2006 per l’emersione e il contrasto del fenomeno – riceve circa 200 chiamate al giorno di denuncia e registra un picco nelle prime ore del pomeriggio, nel week end e ogni volta che ne viene data informazione in tv. Dal 2009 fornisce anche una funzione di sostegno nei confronti delle vittime di stalking. Emerge un altro dato allarmante: sempre più numerose le donne anziane che subiscono la violenza dai loro figli, come l’ultimo caso ad Arezzo, del 43enne responsabile di maltrattamenti e percosse nei confronti della propria anziana madre, o a Latina, dove il figlio 56enne rapina, percuotendola, la anziana madre. Si tratta di un fenomeno nuovo che emerge dalle segnalazioni che quotidianamente arrivano al 1522 – riferisce il dipartimento di Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri – e di donne che hanno già subito violenza da parte del proprio partner, introiettata dai propri figli che la ripropongono per emulazione. C’è ancora molto da fare, a quanto pare, in Italia.

Come si può efficacemente cambiare una mentalità dura a morire?

A più livelli di consapevolezza e su più fronti: corsi di formazione nelle scuole e sensibilizzazione degli operatori della comunicazione contro – per esempio – il sessismo linguistico; campagne istituzionali (come quella di Pubblicità Progresso che partirà a gennaio nelle città italiane), tanto per cominciare. Bello lo spot dal titolo “Diventa uomo” realizzato dall’Agenzia pubblicitaria Gruppo Misto Comunicazione con la regia di Alberto Salvucci per contrastare la violenza sulle donne nel 2012: protagonista è l’attore Roberto Fadda che, da cavernicolo sporco, barbuto, vestito di brandelli di pelliccia e armato di una clava che batte furiosamente per terra si trasforma in un gentleman ben vestito e pettinato con un enorme mazzo di rose in mano. “Non sei sola contro chi ti usa violenza” è lo slogan delle iniziative di sensibilizzazione promosse dalla città di Torino. E ancora: “Potresti fare a meno del suo sorriso?” È con questa domanda, riferita alla Gioconda di Leonardo, deturpata dalla violenza maschile (immagine utilizzata alle Nazioni Unite contro la violenza sulle donne) che si terrà un flash mob, nella stessa data, in Campo San Geremia di Venezia: la Rai regionale in collaborazione col Comune di Venezia accoglierà gli uomini e le donne che parteciperanno all’iniziativa nella propria sede di Palazzo Labia. I media tutti, e la Rai come servizio pubblico, può fare la differenza in questa battaglia culturale, perché in grado di offrire nuovi modelli di relazioni uomo-donna fondati sul principio di parità nel rispetto della libertà e dei diritti fondamentali.

Dal suo osservatorio, come vive il fenomeno l’uomo comune?

Se l’uomo della strada mettesse metà dell’energia che mette nel parlare di calcio (ma anche di apparecchi elettronici o di auto) nel fare proposte per arginare il fenomeno criminoso in questione, allora saremmo un popolo civile. E se parla di donne, lo fa in termini reificanti e consumistici. A giudicare dai discorsi maschili al bar, l’uomo comune non è gran ché interessato a contribuire alla risoluzione della piaga sociale del femminicidio, di cui parla – talvolta – in modo sterilmente voyeuristico. Come non fosse un suo problema, senza considerare che invece anche lui, nel suo piccolo, potrebbe contribuire a cambiare l’ordine delle cose. Cominciando a porselo, il problema..

Nel suo libro si afferma che – per cambiare – si deve partire dagli stereotipi culturali, vero?

Proprio come Libertà e Giustizia racconta ai bambini nelle aule la Costituzione, è essenziale che la scuola – che è una fondamentale agenzia di socializzazione – preveda corsi di ‘buone pratiche’ di genere per creare il giusto clima di futura convivenza fra bambine e bambini. In Puglia, per esempio è partita una campagna di sensibilizzazione nelle classi superiori dal nome “Troppo amore sbagliato”: quasi 216mila studenti coinvolti attraverso l’elaborazione di soluzioni artistiche in forma di claim, spot, video, rappresentazioni teatrali ed un concorso. La repressione va affiancata necessariamente da proposte di intervento formativo (e di educazione permanente) con una precisa funzione preventiva. A proposito di stereotipi, basta vedere gli indici dei giornali ‘maschili’ come Healt, Men’s, Max, Gq: il clichè veicolato è quello dell’uomo vincente, predatore, più o meno analfabeta, rispetto agli argomenti trattati stampa ‘femminile’, più profondi, di cronaca, attualità e psicologia, insomma tutti di un altro tenore. Maschi dipinti come tetragoni imbecilli interessati solo a calcio, all’ultimo modello di Harley Davidson e di tablet e agli anabolizzanti. Per certa stampa, l’uomo è un essere da considerare superficialmente perché vale poco, non ha contenuti, o meglio: vale solo se guadagna e ‘ha’ non se ‘è’, senza prospettive, senz’anima, senza sogni, senza coraggio, senza profondità. E’ molto virile, invece, secondo me, dirsi indignati e coinvolti come uomini in una cultura tossica che usa le donne ma che è prodotta dal consenso silenzioso del mondo maschile.

Infine, raccogliendo le voci di questi uomini a quali conclusioni è giunta?

Che sono perplessa. Se le Nazioni Unite e l’Unione Europea ci sgridano per il debito pubblico o lo spread che si innalza, corriamo come bambini impauriti a giustificarci, mentre davanti a ‘vergogne’ come il femminicidio i governi fanno spallucce. La violenza maschile sulle donne non è una questione privata, ma politica. Ricordo quando si diceva, negli anni ’70: “Il personale è politico”. Ebbene, lo è. Gli abusi sulle donne costano 2,4mld l’anno (stima di riferimento del Consiglio d’Europa, poiché in Italia non esistono ricerche specifiche). Se Libera suggerisce 10 cose da fare subito per contrastare le nuove povertà (onorare i debiti della PPAA; attuare una moratoria ragionevole rispetto all’immediata esigibilità dei crediti da parte di Equitalia e banche; tagliare alcune spese militari e riconvertirle per il sociale e la filiera energetica; garantire un meccanismo più rapido per l’assegnazione dei beni confiscati alle mafie per uso sociale; erogare il reddito di cittadinanza come gli altri Paesi europei; mantenere pubblici i servizi di base e difendere i beni comuni come acqua, sanità, scuola, trasporti, rifiuti; rinegoziare il debito pubblico), i miei intervistati parlano di altre 10 cose concrete da fare subito – suggerite da uomini ad altri uomini – per contribuire ad arginare l’ emergenza italiana del femminicidio e vivere tutti meglio.

Dico che sono ancora troppo pochi, gli uomini che si immedesimano e si interessano di queste tematiche. Non mi stanco di ripetere che il tema in questione è un problema del ‘maschio’, riguarda gli uomini, il loro immaginario e la loro percezione del femminile. Sono ancora troppo pochi quelli indignati del fatto che qualche appartenente al loro genere debba macchiarsi di reati simili. E – ad alcuni di questi – l’effetto emulativo e la coazione a ripetere non li sorprende neanche, anzi scatta in loro quella dinamica pericolosa che in scienze della comunicazione si chiama ‘normalizzazione’. Uno dei contributi più belli è stato quello di ‘omino71’, nel ricordare che tutti hanno una madre, o una sorella, o una fidanzata, una figlia, una compagna, una collega, etc. Emersi concetti importanti come l’esigenza di un’identità di ‘persona’ e non ‘maschio o femmina’ e, in quanto tale, detentrice di diritti. ‘Maschile’ e ‘femminile’ come peculiarità di genere da valorizzare, ma sempre per la civile convivenza. Il crimine di genere avviene senza testimoni ed è trasversale, nel senso che è presente anche in fasce sociali medio-alte. Ho visto che molti uomini non pensano lontanamente che un loro simile scolarizzato, colto e benestante possa macchiarsi di questo tipo di reati, mentre l’identikit del violento è un uomo talvolta insospettabile, spesso stimato professionista incensurato, progressista e liberal. La cosa che spaventa di più l’uomo violento – a detta degli uomini intervistati – è intimità emotiva, condivisione e ‘par condicio’ a 360°. Infine, la ‘responsabilità civile’ e il ‘senso dello Stato’ non sono valori automatici, né le ‘buone pratiche’, insegnate solo in alcune scuole e da poco. Alcuni (pochi) sanno che chi volta la faccia dall’altra parte è connivente. Il dovere morale che abbiamo nei confronti nostri e dei nostri simili fa la differenza fra una società e una società ‘civile’. Come donna e come giornalista mi sono sentita in dovere di dare voce alla migliore coscienza maschile chiedendo ad un campione di genere un’opinione sui tempi che viviamo. Davvero apprezzabile l’onestà con cui alcuni intervistati mi hanno risposto, ammettendo la viltà con cui si tralasciano argomenti spinosi che coinvolgono loro simili.

* Maria Vittoria De Matteis è giornalista di RaiNews24 e socia di LeG Roma

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