Servizio idrico: come finanziare tutti gli ineludibili investimenti?

03 Feb 2012

Il circolo di Belluno ha tenuto, il 20 gennaio, un incontro sul tema dell’acqua pubblica, che è stato oggetto di referendum nella scorsa primavera. Protagonista il professor Antonio Massarutto dell’Università di Udine, docente anche alla Bocconi di Milano

Ovvero alla ricerca, anche in chiave bellunese, di istruzioni per la gestione del servizio idrico integrato. È stato questo il filo conduttore di una stimolante conferenza-dibattito organizzata a Belluno, venerdì 20 gennaio, dal circolo «Libertà e giustizia». Protagonista il professor Antonio Massarutto dell’Università di Udine, docente anche alla Bocconi di Milano. Massarutto non è un guru, ma è uno degli esperti che più hanno studiato il tema
(insieme con lui si può citare l’attuale sottosegretario allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti). Introdotto
nell’incontro alla Sala De Luca da Giuseppe Pat, che ha ripercorso i principali capitoli della vicenda Gsp, Massarutto – alternando ai suoi ragionamenti anche molte incisive metafore – ha inanellato una serie di considerazioni, che volendo si potrebbero riassumere come una vera e propria bussola per il futuro: una
specie di terza via tra quelli che lui chiama i «talebani» del mercato da una parte e i «mujaheddin» del diritto
all’acqua dall’altra parte, con il rischio che «ad essere “privati dell’acqua” siano i nostri figli».
Autore del volume «Privati dell’acqua», Massarutto è partito ricordando che l’Italia è «ancora inadempiente» rispetto alla direttiva europea sulle acque reflue del 1991 e che il settore, già carente di investimenti, si caratterizza proprio per richiedere, sotto questo profilo, un’alta intensità di interventi. Secondo lui, si tratta di un vincolo ineludibile. Per riguardo nei confronti delle generazioni future, i piani d’ambito non dovrebbero prescindere da un importo di almeno 80-100 euro l’anno pro-capite (15-20 milioni in termini bellunesi,
contro una previsione di piano – possiamo osservare – di appena 4-8 milioni).
La gestione del servizio idrico, ha spiegato Massarutto, «deve essere effettuata da soggetti che operano in una logica aziendale. La questione “chi gestisce”», ha spiegato, «non va confusa con “chi paga”». Senza contare che
la filiera dalla captazione alla depurazione rappresenta «una combinazione sempre più complessa di uomini, tecnologie, capitali». Dunque «chi paga», o meglio come finanziare i necessari investimenti e soprattutto
la conservazione del capitale naturale? La tariffa da sola, la fiscalità generale, altre modalità? Massarutto fa
una premessa: in questo campo è necessaria «una adeguata e forte regolazione» (non del tutto possibile in ambito locale, essendo indispensabile promuovere livelli «uniformi» su tutto il territorio nazionale, ma l’attuale contesto normativo italiano su questo punto è debole). Aggiunge, poi, il docente che simili meccanismi
«funzionano meglio tanto più la politica si tiene fuori»…
Tornando alla domanda chiave («chi paga?») Massarutto fa presente che la fiscalità generale (invocata dai
Forum acqua bene comune) «siamo poi tutti noi con le nostre tasse». Le condizioni del Paese «non consentono
di sollecitare la leva fiscale o il debito pubblico». Semmai Massarutto suggerisce lo strumento di una «tassa di
scopo» legata alle necessità di infrastrutturazione dei diversi territori. Anche la tariffa infatti ha dei limiti (innanzitutto per problemi di equità e accessibilità). Fondamentale, a suo avviso, è la capacità aziendale del soggetto gestore alla luce delle regole date da chi detta le condizioni su cui garantire il servizio. Quindi,
efficienza «dell’idraulico della città» (come lui definisce il gestore: pubblico o privato, ma prevalentemente pubblico) e regolazione attiva con un’attenzione particolare verso gli investimenti che non si possono
rinviare o sottostimare.
Una sottolineatura, questa conclusione, che riporta al centro dello scenario bellunese il nodo più delicato: gli
investimenti del servizio idrico che segnano il passo. Che fare? Riconosciuto che l’acqua va pagata, ma in modo
equo, in provincia non è possibile superare l’attuale impasse senza risorse straordinarie (soprattutto per gli errori finora compiuti). Ato «Alto Veneto» e Regione devono battere un colpo, e pensare di finalizzare, quantomeno agli investimenti sulla depurazione, una parte significativa dei fondi Fas e Brancher, che per
fortuna sono oggi disponibili. La questione è urgente. È già tardi per cominciare a spegnere la polveriera.

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