Governo Monti, la prova dei fatti

24 Nov 2011

La crisi internazionale non ammette rinvii, non consente che si perpetui la nostra confusa transizione. L’occasione è troppo grande perché possa essere perduta. Se il governo reggerà alla prova, tutti, anche il Parlamento e il sistema dei partiti, usciranno diversi da questa esperienza

Dunque, Mario Monti al tavolo con Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. Era da anni che l’Italia non partecipava con pari dignità a un simile incontro. Non si tratta di indulgere ai trattamenti agiografici che hanno contrassegnato la nascita del governo. E’ risaputo che su tutto grava la crisi dell’aria euro che ora tocca anche la Germania. Ma non può sfuggire a nessuno la riconquistata credibilità internazionale presso le principali cancellerie, il ritorno della fiducia e del dialogo dopo gli anni berlusconiani degli scontri. Tuttavia, la credibilità del nuovo esecutivo è solo un buon viatico. Ci vogliono le misure concrete. Il Professore deve fare “presto e bene”. E qui si torna allo scenario politico interno, con tutte le sue insidie. Monti mantiene un gradimento incoraggiante, che supera, stando ai sondaggi, la soglia dell’80 per cento. Il “gabinetto dei tecnici” appare come una scialuppa di salvataggio in un mare in tempesta. Però, i tempi della politica sono assai brevi. Tutto si consuma in fretta, sotto l’incalzare dello spread.

I partiti avevano accordato una fase di moratoria, una sorta di tregua. Ma ora si colgono i primi scricchiolii. La tempesta finanziaria dovrebbe richiamare tutti alle proprie responsabilità, ma c’è chi se ne serve per tentare nuovi colpi di coda. Questo accade nel centrodestra dove i berlusconiani “irriducibili” tentano di cambiare le carte in tavola, negando che il governo Monti abbia avuto alcun effetto positivo sui mercati e rivendicando il “sacrificio” del proprio leader. Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, avrebbe bisogno di tempo, di tirare il fiato per riorganizzarsi. Ma nel partito cresce il nervosismo, si accentuano le spinte centrifughe, serpeggia la sindrome da sconfitta. Il Pdl si sente incalzato dalla Lega che è rimasta in Parlamento la sola forza d’opposizione. Con il Carroccio, che si è ritirato sopra il Po, il solco si va allargando. Bossi e Maroni fanno a chi suona di più la grancassa. Anche nel centrosinistra le acque sono agitate. Di Pietro ha votato la fiducia, ma si è lasciato le mani libere. Vendola ha subito preso le distanze dal nuovo esecutivo e rafforza questa linea. Il Pd è stato uno sponsor convinto del nuovo corso. Ma questo partito ha una singolare attitudine a complicarsi la vita. Ecco dunque che scoppia il “caso Fassina”, dal nome del responsabile economico, di cui l’area liberal chiede le dimissioni, per la sua posizione sui temi delle pensioni e del lavoro. E si riapre il capitolo dei sospetti. Che ci sia la necessità di un chiarimento sulla politica economica del partito è innegabile. Ma l’iniziativa finisce per apparire inopportuna e strumentale. Bersani l’ha bloccata, trovando l’appoggio della grande maggioranza del partito. Comunque rimane paradigmatica di una situazione interna poco chiara. Resta il tema delle diverse anime del Pd. Bersani deve trovare una sintesi. E, qualora questo non fosse possibile, avere il coraggio di scelte non equivoche. Il che presuppone un reale rinnovamento interno, la capacità di fornire risposte a domande per troppo tempo accantonate.

Insomma, dai partiti arrivano, giorno dopo giorno, segni di fibrillazione allarmanti. L’agenda esposta dal governo è chiara: reintroduzione dell’Ici progressiva in base al reddito, correzione delle pensioni di anzianità, razionalizzazione del mercato del lavoro, lotta all’evasione fiscale. I presidenti delle Camere hanno garantito una corsia preferenziale alle misure anticrisi. Ma non si può prevedere come andranno le cose una volta che l’esecutivo metterà nero su bianco tutti i temi caldi. Fino a che punto sono conciliabili le restrizioni imposte dall’emergenza con le ipotesi di successo elettorale coltivate dai diversi partiti in vista della scadenza del 2013? Ancora: nessuno può dire come influiranno su un orizzonte politico, già fin troppo nebuloso, i due referendum elettorali che, qualora siano ammessi dalla Corte costituzionale, si dovranno celebrare nella prossima primavera. Monti comunque dovrà sfruttare al meglio la fase di tregua di cui ancora dispone. Costruire un asse di forte coesione con gli attori economici e sociali, consapevoli della gravità del momento. La crisi internazionale non ammette rinvii, non consente che si perpetui la nostra confusa transizione. L’occasione è troppo grande perché possa essere perduta. Se il governo reggerà alla prova, tutti, anche il Parlamento e il sistema dei partiti, usciranno diversi da questa esperienza.

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