Echi dalla palude

16 Nov 2011

l premier incaricato deve dimostrare subito che si cambia pagina. Mostri tagli veri a una politica ingorda

A fronte di un buco abissale di 14 miliardi, scegliere una stanza da 80 euro all’hotel «Pineta» (3 stelle, familiare, fiori di plastica) poteva essere vista come una scelta di superfluo francescanesimo. Chiamato a risanare Parmalat, però, Enrico Bondi non ebbe dubbi. E per anni, dopo esser arrivato al volante di una Punto, aver dismesso il jet da 45 milioni di dollari in leasing, appiedato i dirigenti facendosi consegnare le chiavi di tutte le auto blu in cortile, cancellato ogni spesa superflua citando Francesco Guicciardini (vale più un ducato in casa che uno speso male), ha mangiato alla mensa dei dipendenti e dormito lì, in quell’albergo pulito, accogliente ma di poche pretese. Aveva chiaro un punto: poteva farcela solo se tutti, lì, avessero creduto che faceva sul serio. Se tutti avessero capito che c’era una svolta vera. Radicale.

Il lavoro di risanamento che aspetta Mario Monti non è meno temerario. E mentre perfino una Regione più virtuosa di altre come la Lombardia boccia la proposta (di questi tempi!) di ridurre le auto blu degli assessori, anche lui ha bisogno di lanciare segnali netti. Tanto più che le regole della democrazia sono diverse da quelle che consentono al plenipotenziario di un’impresa in crisi libertà decisionali qui impensabili. Basti vedere come il rito delle consultazioni lo abbia risucchiato in una dimensione surreale, obbligandolo a incontrare, come spiegava un’agenzia, 34 gruppi tra cui «Io Sud», «Noi Sud», «Noi per il Partito del Sud», «Forza del Sud», «Alleati per il Sud», «Lega Sud Ausonia». È questa una democrazia sana? Tantissimi partiti, tantissima democrazia? C’è da dubitarne.

Ci passò già, in situazioni non meno drammatiche, Carlo Azeglio Ciampi, che vide sfilarsi i ministri pidiessini quando già era in Quirinale. Ci passò, andandosi ad arenare in una miriade di veti incrociati, Antonio Maccanico. Lo stesso Berlusconi, piombato nel ’94 a Palazzo Chigi sull’onda di una travolgente campagna elettorale, si andò a impelagare in estenuanti trattative che spinsero Giuliano Ferrara a dire che «a far politica nel modo vecchio» gli altri «son più bravi di lui: in tre mesi se lo mangiano». Buttato giù, decise di diventare più bravo lui degli altri: ha finito per esser costretto a presentare i libri di Scilipoti.

Dicono i sondaggi Ipsos che gli italiani hanno fiducia in Monti nonostante il 93% sia convinto che chiederà sacrifici. Anzi, la maggior parte lo stima d’istinto proprio perché «non sa e non gli interessa sapere» se è un po’ più di destra o di sinistra. È un patrimonio enorme, che sarebbe un delitto sprecare. Questione di stile. Credibilità. Serietà. Le sbandate della Borsa, gli attacchi speculativi, l’altalena degli spread , però, dicono che il premier incaricato deve dimostrare subito che si cambia pagina.

Gli buttano addosso l’accusa di essere già dentro la Casta? Se ne liberi rinunciando alle prebende pubbliche. Scelga di chiamarsi fuori da quelle posizioni di rendita, spalanchi le finestre, imponga la massima trasparenza, mostri ai cittadini tagli veri a una politica ingorda che in trent’anni ha moltiplicato per 41 volte i costi degli affitti di Montecitorio, punti su uomini che, non cercando consensi elettorali, sgobbino dove devono sgobbare e non passino le giornate (i dati sono dell’Osservatorio di Pavia) andando in tre anni 38 volte a Porta a Porta e spostandosi come trottole da un convegno a una inaugurazione, da un meeting a una sagra della zucca, della castagna o del peperoncino. Se la giochi fino in fondo. E vedrà che, rovesciando tutto, forse avrà più possibilità che non rovescino lui.

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