Qualche riflessione sulla legge elettorale (e sulle strumentalizzazioni)

01 Set 2010

Non basta dire che le scelte non devono essere appannaggio delle segreterie dei partiti. Se esse avvengono tramite il voto di preferenza su lunghe liste regionali si rischia di favorire lobbies organizzate e gruppi di potere, e in ogni caso il ruolo dell’elettore si esaurisce, per cinque anni, nell’avere espresso tale preferenza.

Nella sua intervista-tv, così come nel suo testo scritto a Repubblica, Bersani è giustamente chiaro nel precisare che non basta dire no a Berlusconi ma che occorre un programma di governo alternativo; purtroppo, a proposito della legge elettorale egli si muove esattamente al contrario, affermando che occorre preliminarmente coagulare uno schieramento che dica NO al Porcellum, e al contempo rifiutando di pronunciarsi su un diverso sistema (di “impiccarsi a una formula”, ha ripetuto più volte). Beninteso, è correttissimo affermare che un singolo partito, sia pure il più forte dell’opposizione, non può imporre il proprio punto di vista su un tema che necessariamente richiede intese sufficientemente vaste; ma è del tutto negativo che non abbia una sua proposta, pur con margini di flessibilità che la apra a confronti con altri.

Sbandierare il rifiuto di un sistema che affida alle segreterie dei partiti la scelta dei Parlamentari è appunto il no; in termini affermativi, il Segretario del Pd non ha detto nulla. Anche le domande che chiedevano una scelta minimale, cioè se si condivide l’esigenza di conoscere le alleanze prima del voto, non hanno trovato una risposta chiara; svicolare dicendo che l’opinione pubblica è ormai convintamente bipolare, o che si può studiare qualche formula “antiribaltone”, significa sfuggire al problema.

I cittadini comuni non possono capirci nulla; i pochi che ancora leggono le cronache di un Palazzo sempre più autoreferenziale registrano, sbalorditi, un insieme di consensi espressi da svariate personalità del Pd alla non-proposta di Bersani. Anticipando, con la spregiudicatezza che lo distingue, il segretario del suo partito, Massimo d’Alema aveva infatti presentato il sistema tedesco come l’unico accettabile: sicché tutti quelli che contestano tale ipotesi si sono entusiasmati per il mancato allineamento (Eugenio Montale: “codesto solo oggi possiamo dirti/ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”). Il problema di merito, ancora una volta, viene giocato in termini di lotte politiche intestine.

Uscendo dalle strumentalizzazioni, e per parlare in positivo, vorrei proporre due soli punti come determinanti per una legge accettabile.

Il primo è l’esigenza di alleanze prima del voto, non dopo. La questione è chiara, e non mi soffermo su essa; si tratta non solo di far sì che l’elettore sappia quale uso verrà fatto del suo consenso, ma anche di evitare i balletti delle trattative perpetue, dell’instabilità, dei baratti che ben ricordiamo all’epoca del proporzionale.

Del secondo punto si sta invece parlando pochissimo: ripristinare i collegi uninominali, gli ambiti territoriali ristretti ove ogni candidato deve presentarsi direttamente agli elettori, mostrandosi con la sua faccia. Ciò induce le forze politiche a puntare -nei casi migliori- su personalità prestigiose, o almeno -quasi sempre- a non candidare gli impresentabili. Ciò determina inoltre, dopo le elezioni, condizioni favorevoli per un rapporto sistematico tra il rappresentante e i rappresentati.

Concentrare l’attenzione su questo punto è importante per due motivi. Anzitutto, a differenza di molte delle alchimie spesso presenti nelle proposte di sistemi elettorali esso è ben comprensibile a qualunque cittadino. In secondo luogo, esso lascia aperta la strada a una pluralità di soluzioni, e consente perciò quella ricerca di ragionevoli compromessi di cui sopra si è detto.

Varie, tra le soluzioni di cui si sta parlando, sono effettivamente rispettose di questo punto fermo. Lo è certamente quella più estrema, l’uninominale secco a un turno, ma lo è anche l’uninominale a due turni, e lo è il Mattarellum; quest’ultimo sistema è certo un po’ pasticciato in termini concettuali, ma -come giustamente ha rilevato Libertà e Giustizia– ha il pregio di essere stato sperimentato con risultati non cattivi e soprattutto con successi o dell’uno o dell’altro schieramento, sicché non può essere considerato di parte.

Non basta dire che le scelte non devono essere appannaggio delle segreterie dei partiti. Se esse avvengono tramite il voto di preferenza su lunghe liste regionali si rischia di favorire lobbies organizzate e gruppi di potere, e in ogni caso il ruolo dell’elettore si esaurisce, per cinque anni, nell’avere espresso tale preferenza; l’opzione espressa nel collegio uninominale costruisce invece un solido rapporto, su base territoriale, tra elettori ed eletto.

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