Le verità taciute

19 Ago 2010

Tutto il mondo politico e istituzionale, da destra a sinistra, ha salutato Francesco Cossiga con grande deferenza e in termini elogiativi. Il picconatore porta via con sé segreti e ipotetici segreti

Di Cossiga quello che ricorderemo un giorno pensando alla sua personalità complessa, contorta, balzana saranno a mio parere i suoi impenetrabili e drammatici silenzi.
 Può sembrare paradossale, oggi che tutti collezionano le sue battute, le insinuazioni, le definizioni. Ma è così. Se ne va, con lui, la memoria storica dei misteri italiani. Lui sapeva più di Andreotti e Fanfani, più degli altri leader democristiani che hanno fatto la Prima Repubblica. E quelle pagine che non conosceva per esperienza diretta, come il caso Moro, era in grado di ricostruirle mettendo insieme la massa di informazioni accuratamente raccolte e selezionate.
 Avrebbe, Francesco Cossiga, potuto partecipare da protagonista alla ricerca e alla scoperta di verità che tuttora opprimono la scena politica e civile del nostro Paese. Non lo ha fatto: perché non voleva, perché le cose che sapeva erano troppo devastanti per questa Italia adagiata tra nebbie e paludi… non lo sapremo mai, anche questa risposta Francesco Cossiga si porta con sé.
 Sin dai suoi primi passi in politica Cossiga fu affascinato dal segreto: politico, storico, militare, di Stato. Ma oggi che tutti ricordano il presidente della Repubblica e le sue picconate penso all’uomo del caso Moro: lui sapeva la verità su via Gradoli e la seduta spiritica, sul Lago della Duchessa, sugli uomini della P2 che chiamò accanto a sé al Viminale per gestire la crisi.
 Credo che nella scelta della fermezza ci fu un moto genuino e condivisibile: non si poteva accettare il ricatto dei terroristi in cerca di legittimazione politica.
 Ma ancora oggi rimangono assolutamente inaccettabili l’inerzia e la mancanza di professionalità nelle indagini, quasi ci fosse la volontà di non arrivare neanche per caso a trovare il cercere e i carcerieri.
 Per diversi anni Cossiga veniva a cena a casa mia e di Giovanni Ferrara, mi chiedeva patatine fritte che certo non sono mai state la mia specialità. Lo rivedo triste e pallido dopo le dimissioni dal Viminale su un divano del Transatlantico, nessuno allora gli parlava. Poi la sorprendente inattesa rinascita come presidente del Senato.
 Un giorno, ricordo, De Mita mi chiamò nel suo studio a Piazza del Gesù e mi chiese: devo candidare Cossiga o Andreotti per il Quirinale, quale dei due?
 Perché era questa soltanto la scelta? Perché risposi convinta: Cossiga? Perché cominciò a picconare la Repubblica? Perché cominciò a esaltare gli uomini della P2, perché passò da un Cossiga all’altro, perché scuotere le fondamenta dello Stato dall’alto del Colle? Oggi tutti hanno risposte.
 Io credo che le cose siano molto complicate, credo che ci sia stato il suo incoraggiamento nella scesa in campo di Silvio Berlusconi, ma non posso provarlo. Credo che Francesco Cossiga abbia nutrito di sua iniziativa il mistero che porta con sé, e quel grave silenzio che peserà sempre sulla storia italiana.

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