Ha incontrato i presidenti di Cina e Russia nelle scorse settimane e nella notte, subito dopo la fine del vertice Nato a Washington, ha raggiunto l’ex presidente degli Stati Uniti, e ricandidato dei Repubblicani, Donald Trump. Viktor Orbán sta facendo il giro dei leader più distanti dalla Storia e dai valori della Ue e lo sta facendo in modo “informale” ma in un tour che lui stesso ha definito “una missione di pace”. Nelle prime ore del mattino europeo, infatti ha commentato così, sul proprio profilo X, la sua visita a Trump nella sua residenza a Mar-a-Lago: «La buona notizia del giorno: risolverà il problema!», riferendosi al conflitto in Ucraina.
Il servizio legale dell’Ue, ha scritto il Financial Times, ha comunicato al Coreper che le missioni di pace di Orbán hanno violato i trattati del blocco che vietano qualsiasi “misura che possa mettere a repentaglio il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione”. Per una ventina di Stati della Ue il suo comportamento sarebbe “sleale” e si profila l’ipotesi di togliere la presidenza di turno all’Ungheria se il presidente dovesse continuare con queste “escursioni non autorizzate in politica estera”. Un’opzione che alcuni Paesi, come la Germania e quelli dei Baltici, starebbero valutando, secondo quanto rivelato da fonti diplomatiche a Süddeutsche Zeitung, Politico e Corriere della Sera.
Una presidenza che si poteva evitare in anticipo, sostengono oltre 100 giuristi delle più prestigiose università internazionali che per questo avevano scritto un appello che, dicono, resta valido anche ora. Secondo gli studiosi, un paese che è sotto sorveglianza per la violazione dei valori comuni (articolo 7 del Trattato europeo) non può assumere la guida del Consiglio dell’Unione Europea. A maggioranza qualificata, il Consiglio potrebbe cambiare l’ordine della Presidenza di turno – in base all’articolo 236 del Trattato Europeo – e rimandare la guida di Orbán a quando si sarà conclusa la procedura di sorveglianza aperta sei anni fa. Tra i tanti argomenti formali messi in campo dagli studiosi c’è proprio il principio secondo il quale, essendo sottoposta a sorveglianza, l’Ungheria non gode della fiducia cieca che è alla base della cooperazione delle istituzioni europee.
Il testo dell’appello, firmato tra gli altri da Paul Craig e Ingolf Pernice, è stato scritto dagli italiani Pier Virgilio Dastoli ed Emilio De Capitani.
“Come può l’Ungheria tutelare il patrimonio di valori europei, gli stessi che sfida apertamente all’interno dei propri confini?”, dicono, tra il resto, gli studiosi.