Con il referendum del giugno 2006 i cittadini italiani hanno bocciato la riforma costituzionale voluta dai governi Berlusconi, che avrebbe stravolto l’assetto istituzionale del nostro paese.
Con il referendum del dicembre 2016 ancora una volta i cittadini italiani sono stati chiamati a valutare la riforma costituzionale voluta dal governo Renzi e, di nuovo, la hanno respinta a grande maggioranza.
Come allora, il tentativo di modificare radicalmente l’organizzazione istituzionale disegnata dalla Costituzione vigente viene oggi operato, con la legge Calderoli sulla cd autonomia differenziata, a colpi di maggioranza e in assenza di condivisione con le opposizioni.
Già solo questo fatto, di voler riscrivere le regole della convivenza civile con spirito partigiano e senza cercare un punto di incontro con i partiti dell’opposizione, configura la legge Calderoli come una iniziativa arrogante e inaccettabile.
Le molte preoccupazioni espresse da più parti sulle conseguenze della legge Calderoli, in termini di eguaglianza dei diritti e di coesione sociale, sono state ignorate e irrise dai suoi promotori, in nome di una illusione localistica della quale si fatica a vedere il senso.
Non basta il clamoroso fallimento della Brexit a dimostrare quanto sia irrealistico e persino puerile confidare nel localismo, sempre intriso di un sottofondo razzista?
Sappiamo bene che la legge Calderoli rappresenta, per la Lega, un formidabile strumento propagandistico e, per Meloni, una inevitabile “contropartita”.
Ma ben al di là di questi aspetti tattici, ciò che conta è che la scelta irresponsabile di frantumare la già precaria coesione nazionale rischiamo di pagarla in termini di peggioramento dei servizi sociali, di aumento delle disuguaglianze, di fallimento nella lotta contro la criminalità organizzata e il degrado ambientale.
L’ideologia che sottende il regionalismo – la prevalenza dell’interesse particolare su quello generale – è in frontale contrasto con la cultura costituzionale che impone di promuovere ovunque il pieno sviluppo delle potenzialità individuali e collettive. Anche da un punto di vista economico, è arduo immaginare come la frammentazione di regole e di condizioni di lavoro possa favorire una crescita equilibrata e indurre investimenti adeguati.
Se si guarda ai risultati del regionalismo così come lo conosciamo oggi, a seguito dell’infelice modifica dell’art.117 Cost., non pare vi sia molto di cui gioire: la Sanità devoluta alle Regioni si è tradotta in molti casi in un incremento esponenziale degli operatori privati e in un impoverimento della sanità pubblica. Da un punto di vista politico, si è assistito all’affermarsi di potentati locali, che tendono a riprodursi a prescindere dai loro, scarsi, meriti.
Nei giorni scorsi è stato depositato presso la Corte di Cassazione il quesito referendario inteso ad abrogare, ai sensi dell’art. 75 della Costituzione, la legge Calderoli; è un quesito lineare, che mira ad abrogare l’intero disposto legislativo istitutivo della cd. autonomia differenziata e chiede ai cittadini una risposta positiva.
I comitati referendari che si stanno organizzando nel paese provvederanno a raccogliere le 500mila firme necessarie a norma dell’art.75 Cost., per consentire ai cittadini di pronunciarsi direttamente su una legge che travolge l’attuale assetto dei rapporti tra lo Stato e le Regioni. Si tratta di un esercizio fondamentale di democrazia partecipativa, che richiede, trattandosi di referendum abrogativo, che la votazione registri la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto e l’approvazione della maggioranza dei voti validi.
Ancora una volta, spetta ai cittadini italiani far sentire la loro voce e respingere una prospettiva inadeguata e pericolosa, che anziché offrire soluzioni ai molti problemi del paese si dispone ad aggravarne le disuguaglianze, in una logica di regressione localistica.