Il 2021 resterà negli annali come uno degli anni chiave della storia americana, uno di quei momenti in cui tutto cambia e il paese prende una direzione diversa. Mai, infatti, dalla fondazione degli Stati Uniti ad oggi, c’era stato un tentativo violento di rovesciare l’esito di un’elezione e il pacifico passaggio dei poteri, come è accaduto il 6 gennaio scorso. Per una bizzarria della Storia, altri quattro momenti di svolta sono avvenuti in anni che terminavano in “1”, il 1861, il 1901, il 1941, il 2001. In tutti e quattro i casi le conseguenze sono state enormi e di lungo periodo.
Nell’aprile 1861 iniziò la guerra di Secessione, con undici stati del Sud che tentarono di separarsi per poter mantenere in vita la schiavitù degli afroamericani e la loro economia basata sul “re Cotone” (da leggere “”The Empire of Cotton” di Sven Beckert”). Dopo una guerra spaventosa, con 600.000 morti (il 5% della popolazione di allora) e milioni di feriti e mutilati, il Nord vinse, la schiavitù fu abolita e iniziò una nuova fase, per nulla pacifica, ma comunque diversa dall’assetto precedente.
Nel settembre 1901, il presidente William McKinley, appena rieletto, fu ucciso da un giovane anarchico di origine polacca, Leon Czolgosz, aprendo la porta della presidenza a Theodore Roosevelt, il vicepresidente. Roosevelt rimase alla Casa Bianca per otto anni, lasciando un’impronta fortemente riformista. Sue le iniziative antitrust, l’avvio della costruzione del canale di Panama e l’inizio di una tradizione di politica estera imperialista che condusse poi Woodrow Wilson a entrare nella Prima guerra mondiale nel 1917.
Il 7 dicembre 1941 ci fu l’attacco a sorpresa dei giapponesi contro la base di Pearl Harbour, nelle Hawaii, precipitando gli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, iniziata due anni prima in Europa. L’America ebbe un ruolo decisivo, assieme all’Unione Sovietica, nella sconfitta del nazismo tedesco, del fascismo italiano e del militarismo giapponese, uscendo dal conflitto nel 1945 come una superpotenza mondiale dotata di armi atomiche e pronta ad usarle, come era avvenuto a Hiroshima e Nagasaki.
Infine, l’11 settembre 2001, avvenne l’attacco contro le Torri gemelle a New York, che portò immediatamente all’invasione per rappresaglia dell’Afghanistan e dell’Iraq, due guerre le cui ferite sono ancora aperte: gli americani si sono ritirati da Kabul l’estate scorsa, e ora i talebani sono di nuovo al potere.
E, nel 2021, cos’è successo?
Molto semplicemente, un tentativo di colpo di stato organizzato dal presidente in carica (ne abbiamo parlato proprio in quei giorni su questo giornale – I colpi di stato nella società dello spettacolo). Che Donald Trump fosse all’origine dell’invasione del Congresso da parte dei suoi sostenitori era chiaro fin da allora ma in questi mesi sono emerse nuove prove grazie alle indagini dell’apposito Comitato della Camera. In particolare, si è saputo che fin dall’indomani delle elezioni del 3 novembre Trump e i suoi fedelissimi avevano creato un gruppo di lavoro per lanciare la menzogna delle “elezioni rubate” e propagarla attraverso Fox News, Twitter e Facebook. Gli avvocati avevano ideato un percorso che desse un’apparenza di legalità all’operazione, addirittura mettendo su un PowerPoint le varie fasi, che dovevano culminare il 6 gennaio con l’impedire la certificazione del voto dei vari stati da parte del Congresso. Nel sistema elettorale americano questo era di solito un passaggio puramente notarile, ma si prestava a una forzatura se il vicepresidente Mike Pence avesse collaborato. Pence, invece, rifiutò di collaborare e questo scatenò l’assalto, che Trump osservava compiaciuto dal suo ufficio, mentre deputati e senatori sfuggivano per miracolo al linciaggio.
E ora? Ci sarebbero prove in abbondanza per un maxiprocesso contro i mandanti dell’invasione: Trump e i suoi gregari potrebbero essere imputati di dozzine di reati, tra cui alto tradimento, ma il Dipartimento della Giustizia esita. La ragione sta nel fatto che si creerebbe un precedente molto pericoloso: mai, nella storia americana, si è processato un ex presidente per reati politici e l’unico tentativo di mettere sotto accusa un ex vicepresidente, Aaron Burr, nel 1807, si concluse con una assoluzione. Non solo: malgrado abbia perso le elezioni Trump gode ancora di un vasto seguito e un processo nei suoi confronti potrebbe resuscitare le sue fortune politiche, oltre che dare l’occasione ai suoi seguaci per una insurrezione vera e propria al momento delle elezioni presidenziali del 2024 (lo hanno scritto qualche giorno fa tre ex generali, invitando l’esercito a prepararsi).
A complicare le cose c’è il fatto che nel novembre 2022 si vota per rinnovare la Camera e un terzo del Senato, con la concreta possibilità che i repubblicani ottengano la maggioranza e non solo mettano fine alle indagini su Trump (che coinvolgono anche alcuni di loro) ma addirittura avviino indagini sull’amministrazione Biden, con il risultato di paralizzarne completamente l’azione. Il partito repubblicano è ormai una formazione di estrema destra, deciso a tutto per riconquistare il potere benché sia largamente minoritario nel paese e i democratici non sanno che pesci pigliare. In ogni caso l’assetto costituzionale degli Stati Uniti rimarrà sottoposto a scossoni e possibili rotture per anni e anni, con la reale possibilità di un regime autoritario al potere dopo il 2024.
Il Bolive, 27 dicembre 2021