Zagrebelsky, ‘Giusti divieti per il diritto alla vita. Non vedo prove di dittatura’

22 Marzo 2020

Liana Milella

ROMA – «Anche questa vicenda ha effetti molto diversi a seconda della collocazione sociale. Quelli che stanno su possono riderne. Quelli che stanno giù, probabilmente, potrebbero dover piangere». Il professor Gustavo Zagrebelsky vive, come tutti noi, l’ emergenza di queste ore. E con Repubblica riflette sul nostro destino. Di oggi. Di domani. Di chissà quanti giorni…

Prim’ancora di parlare di diritti e di doveri, di libertà della persona e di Costituzione, qual è il suo stato d’animo rispetto a questa peste del 2020 che è intorno a noi, che è nel mondo, che si propaga e produce morte?
«In questo momento mi pare che si debba fare attenzione alle parole, perché le parole a loro volta possono diffondere pesti psicologiche. Peste evoca scenari storici, come la peste bubbonica, la peste nera, la peste polmonare del passato, che venivano rappresentate pittoricamente nelle tante danze macabre, in cui i viventi danzavano abbracciati agli scheletri. Mi pare che oggi non siamo in queste condizioni. Innanzitutto perché siamo di fronte a una pandemia viralpolmonare che a me non fa pensare alla peste, e poi perché di fronte a quella che lei chiama peste il mondo scientifico e ospedaliero è mobilitato e ha strumenti nelle sue mani».

Quindi lei è tranquillo?
«Tutt’altro. Ma penso che si debba reagire ragionando e non delirando».

Cosa direbbe ai complottisti che pensano a una montatura con intenti repressivi delle libertà democratiche? Addirittura con l’esercito in campo?
«Mi rallegro di vedere l’ esercito che non combatte una guerra, ma la diffusione di una malattia e le sue conseguenze».

Anche se i militari trasportano le bare oppure potrebbero girare per strada per costringerci a stare a casa, mentre più d’ uno evoca il coprifuoco?
«Anche qui attenzione alle parole. Non c’è bisogno di chissà quale perspicacia per capire la differenza del coprifuoco a Santiago del Cile imposto da Pinochet e le limitazioni alla circolazione per motivi di salute pubblica. Nei regimi antidemocratici si trattava di una misura poliziesca subita come un violento sopruso; qui invece, già a prima vista, è un’ altra cosa. Addirittura sarebbe superflua se ciascuno di noi spontaneamente, liberamente, si rendesse conto di una necessità a favore della nostra salute».

Siamo di fronte a un bivio spaventoso tra la salute e i diritti democratici?
«Alcuni temono il protrarsi dei divieti, anche oltre lo stato d’ emergenza attuale, quasi che questa fosse una prova generale di repressione globale. Per ora, almeno sospendiamo il giudizio. Per ora mi paiono misure a favore della più democratica delle libertà: libertà dalla malattia e dalla morte».

Sta dicendo che non viviamo ore in cui i diritti fondamentali sono sacrificati all’ emergenza?
«Non direi. Quale diritto è più fondamentale del diritto di tutti alla vita e alla salute?».

Ma le restrizioni in vigore, e quelle eventualmente future, sono coperte dalla Costituzione?
«Cerchiamo, come giuristi, di non fare gli azzeccagarbugli. Intanto la Costituzione prevede che la libertà di circolazione e la libertà di riunione possano essere ristrette per motivi di salute, sicurezza, incolumità pubblica. In ogni caso, la Costituzione consente l’ adozione di decreti di urgenza in casi “straordinari di necessità”. Non siamo forse in uno di questi? Il governo nazionale si deve assumere le sue responsabilità, sia pure di concerto con le autorità regionali».

Le Regioni non stanno esagerando nel pretendere eccessiva autonomia?
«Sono le ragioni di sanità, sicurezza e incolumità a determinare la competenza. Se sono nazionali, come incontrovertibilmente in questo caso, le misure spettano allo Stato».

I giuristi cavillano…
«È il mestiere di alcuni».

Il governo e le opposizioni…
«La fermo subito. Penso che tutti dovrebbero avere un comune atteggiamento costruttivo, ma ciò non esclude né la pluralità delle proposte, né il diritto al dissenso (che non è da confondere con l’ ostruzionismo)».

A proposito, il Parlamento e il voto sui decreti, a partire dal Cura Italia. Ritiene che si possa aprire la stagione del voto telematico, senza deputati e senatori presenti e votanti nell’emiciclo?
«Al di là degli escamotage tecnologici, per me è essenziale, proprio perché siamo in emergenza e in presenza di misure eccezionali, che il Parlamento sia in piena efficienza nella sua funzione di controllo».

L’emergenza giustifica qualunque cosa?
«Nelle situazioni di emergenza lo scopo giustifica i mezzi. Ma certamente non tutti. Solo quelli che abbiano ragionevolmente quella finalità. In particolare non sarebbero ammissibili i mezzi contrari alla dignità degli esseri umani e quelli discriminatori».

E quali sarebbero?
«Per esempio quelli che violassero il principio di uguaglianza, che non consente di distinguere gli anziani dai giovani. Parlo non per conflitto di interessi…ma per ragioni costituzionali. Non risulta che il principio di uguaglianza consenta una simile barbara e spietata discriminazione».

Leggendo le cronache è stato forse colpito dal fatto che tra due malati, un giovane e un anziano, si scelga di mettere in terapia intensiva il primo lasciando andare il secondo?
«Sarebbe sconvolgente se si affermasse il principio che i giovani siano “più uguali degli anziani”. La Costituzione non distingue. Sarebbe una posizione molto vicina all’eugenetica».

Tuttavia il problema esiste, c’è un solo respiratore e due pazienti. Che si fa?
«È nell’etica medica che si debba, finché possibile, salvare entrambi. In quella tragica situazione il medico deve chiedersi, rispetto ai due pazienti, per quale la terapia è presumibilmente più efficace. Non esistono due situazioni perfettamente uguali. E l’età è semplicemente una componente. Poi i nostri discorsi astratti, alla fine, valgono poco e spetta agli operatori sanitari e alla loro coscienza professionale la scelta, quando è inevitabile».

Ma se ci fossero stati meno evasori fiscali e si fosse investito di più negli ospedali oggi magari non saremmo a questo punto.
«Certamente. La questione della scelta tragica deriva dall’insufficienza delle risorse pubbliche alle quali provvedono le entrate fiscali. Facile trarre le conseguenze sulle responsabilità e sull’ irresponsabilità degli evasori».

Se il governo dovesse chiedere a tutti noi ulteriori e soprattutto lunghi sacrifici non si rischia la giungla?
«L’emergenza deve essere per natura temporanea, più dura più l’esperienza dimostra che si manifestano sentimenti del tipo “mors tua vita mea“. La solidarietà è una virtù, una virtù dei santi, religiosi o laici che siano, ma nessuna società umana si regge soltanto sulla santità. , auspichiamo che le misure prese mostrino la loro efficacia e che tra di noi non venga meno la convinzione che la salute e la salvezza di tutti dipende da ciascuno».

* Giurista Gustavo Zagrebelsky, 76 anni, è presidente emerito della Corte Costituzionale.

La Repubblica, 20 marzo 2020

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