Professor Gustavo Zagrebelsky, gli italiani hanno paura. A partire dal raddoppio delle bollette. Ma perché, con questi problemi addosso, hanno votato un partito che invece vuole portarci fuori dall’Europa e dai diritti comuni acquisti?
«Le motivazioni del voto sono le più varie e non credo che i rapporti con l’Europa siano stati al centro dell’attenzione della stragrande maggioranza degli elettori. Le scelte elettorali si sono orientate, mi pare, più per preoccupazioni, sentimenti e risentimenti immediati e concreti che per considerazioni istituzionali».
E l’ipotesi di cambiare quella parte della Costituzione che impone all’Italia il rispetto degli obblighi europei non è certo stato il primo problema.
«Questa è solo apparentemente una questione secondaria. Anzi, potremmo dire che se si volesse aprire un contenzioso acuto tra l’Italia e l’Europa non si potrebbe scegliere un argomento più esplosivo di quello dei rapporti tra il diritto europeo e il diritto nazionale. Soprattutto perché questo tema tocca un pilastro della costruzione dell’Unione, oltre che riguardare la tutela dei diritti costituzionali».
In un’intervista a Repubblica Francesco Lollobrigida, personaggio influente nel partito di Giorgia Meloni, mette in discussione proprio “il principio della sovranità del diritto europeo su quello nazionale”.
«L’espressione “sovranità” è impropria. Più corretto sarebbe usare la parola “primato”. Sovranità e primato sono due cose diverse. Il primato è il frutto di una lunga storia iniziata con la fondazione delle istituzioni europee e proseguita con il loro consolidamento. In una prima fase, fino a una storica sentenza della Corte costituzionale del 1984, il diritto europeo entrava nel diritto italiano solo se, come e quando fosse recepito e trasformato in legge nazionale. Su questo punto si aprì un braccio di ferro tra le istituzioni europee e il nostro Paese. L’Italia basava la sua posizione sulla sovranità nazionale; l’Europa, invece, sul principio, scritto nei Trattati istitutivi, dell’efficacia diretta, immediata e uguale del suo diritto in tutti i paesi dell’Unione».
Lei mi sta dicendo che dal 1984 le leggi italiane devono rispettare una sorta di format europeo e non possono tradirlo?
«Esattamente così. Da quella data in avanti il braccio di ferro è stato superato riconoscendo che il diritto europeo si applica automaticamente, senza che la sua efficacia in Italia sia subordinata al beneplacito e, dunque, alla supervisione del nostro legislatore».
Ma FdI vuole cambiare gli articoli 11 e 117 della Costituzione, dov’ è scritto che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. A quel punto, se ciò accadesse, l’Italia sarebbe fuori dall’Europa?
«Certo. Ma se andasse a finire così, innanzitutto saremmo fuori dalla nostra stessa Costituzione. Uno dei suoi principi fondamentali si chiama “internazionalismo”, posto dai Costituenti in consapevole opposizione al “nazionalismo” del regime precedente. Finiremmo per allinearci a ciò che è già accaduto in Ungheria e in Polonia rispetto al diritto dell’Unione, e alla Russia con riguardo al sistema di tutela dei diritti che fa capo alla Corte di Strasburgo».
Vuol dire che potrebbero venir approvate presunte riforme costituzionali che in realtà sono incostituzionali?
«Una cosa è la Costituzione riformata, un’altra la Costituzione rovesciata. Il nazionalismo, o sovranismo che dir si voglia, non è una riforma dell’internazionalismo.
Ne è la contraddizione. Non avremmo una Costituzione modificata, ma un’altra Costituzione, nemica della prima».
C’è un rapporto tra la garanzia dei diritti e l’appartenenza al sistema europeo di protezione?
«Direi di sì. Quando si vuole ridurre lo spazio dei diritti dei propri cittadini, o orientarne l’uso nel senso voluto da governi autoritari, parallelamente si mette in discussione il diritto comune europeo. Ciò è avvenuto, non per caso, nei tre Paesi che citavo poc’anzi. Viceversa, la difesa dell’appartenenza alla famiglia giuridica europea è funzionale alla tutela dei diritti».
L’Italia potrebbe finire proprio come l’Ungheria visti anche i rapporti stretti tra Meloni e Orbán?
«Lollobrigida, nella sua intervista, non parla di Ungheria, Polonia o Russia. Cita invece la Germania che è un esempio meno scomodo. Abbiamo già accennato al tema del primato del diritto europeo. È un argomento ampiamente discusso in questi decenni non solo in Germania, ma in tutti i Paesi dell’Unione. Primato non vuol dire supremazia assoluta. Significa ordinaria prevalenza sui diritti nazionali, con un limite tuttavia.
Dappertutto è riconosciuto che tale prevalenza si arresta di fronte ai “principi supremi degli ordinamenti costituzionali nazionali e ai diritti inalienabili della persona”. Ciò rappresenta una garanzia estrema contro le possibili, per quanto improbabili, deviazioni dello stesso ordinamento europeo rispetto allo “Stato di diritto”. Questo è il concetto di “primato”: ordinaria prevalenza, ma con il limite eccezionale anzidetto».
Ci sono casi concreti in cui il diritto europeo ha dovuto cedere il passo a quello di un singolo Stato?
«Sì. Uno ha riguardato proprio l’Italia. È un caso del 2018 in cui la nostra Corte costituzionale ha affermato che il principio di legalità in materia di reati e pene attiene al cuore dello Stato di diritto. Per questo l’ha opposto alla Corte di giustizia del Lussemburgo che avanzava la pretesa che, in vista della repressione di determinati reati fiscali, si ignorassero le norme nazionali in tema di prescrizione».
Però Lollobrigida, per sostenere la sua tesi sovranista, cita la posizione autonoma già assunta dalla Germania.
«Non è un riferimento probante. Esistono famose decisioni del Tribunale costituzionale federale tedesco, per esempio le cosiddette Solange I del 1974 e Solange II del 1986 (“solange” significa “fino a quando”). Nella prima si afferma che “fino a quando il processo di integrazione europeo non sia giunto a prevedere un catalogo dei diritti fondamentali, il diritto comunitario è inapplicabile nella misura in cui contrasti con uno dei diritti fondamentali della Costituzione”. Con la seconda decisione, però, il Tribunale ha rovesciato la precedente, riconoscendo che la riserva del “fino a quando” non vale più perché “lo standard di protezione dei diritti assicurato dalle istituzioni europee è [ormai] normalmente sufficiente”. Tutto questo significa che esiste bensì una riserva a favore della sovranità nazionale, ma che può valere solo eccezionalmente. Normalmente, invece, il diritto europeo, nell’ambito delle competenze fissate dai Trattati, è incontestabile».
E allora dove s’ incaglia l’ipotesi di Lollobrigida?
«Nel rovesciamento dell’eccezione in normalità».
Ma lui sostiene che nel possibile conflitto tra norme europee e norme nazionali devono prevalere quelle più favorevoli ai diritti dei cittadini. Il sottinteso è che dal governo che verrà usciranno le norme più favorevoli, che l’Italia sarà più avanti dell’Europa sulla strada dei diritti.
«Si tratta della questione del “livello di protezione”. Si afferma che deve prevalere il livello più alto. Concetto apprezzabile a prima vista. Ma che significa in concreto? E, soprattutto, chi stabilisce dove sta la maggiore protezione? Faccio tre esempi che riguardano sia il diritto italiano sia quello europeo: l’aborto, l’eutanasia e la condizione dei migranti. Per l’aborto deve pesare di più il diritto di autodeterminazione della donna o quello alla vita dell’embrione? Per l’eutanasia è più conforme alla dignità dell’individuo la libertà di decidere di porre fine alla propria vita nei casi estremi oppure la protezione del valore della vita in qualsiasi caso, fino a quando la morte non sopraggiunga da sé? Infine, per i migranti prevale il diritto all’accoglienza oppure il diritto dei cittadini a difendere “la casa propria”? Si capisce a prima vista che su questi temi è decisivo non quale sia il maggiore o minore livello di protezione, ma chi decide in proposito: l’Europa o lo Stato nazionale. Tutti parlano di diritti, il linguaggio dei diritti è universale, ma la concezione di essi cambia a seconda dei governi e delle loro politiche. E noi, a questo riguardo, stiamo probabilmente per sperimentare un salto nel vuoto o, peggio, un salto nel buio».
Sta di fatto che, come ha raccontato Repubblica, i commissari Ue sono in allarme per l’Italia e per quest’ idea di cambiare la Costituzione in chiave sovranista.
«Mi paiono preoccupazioni che dovrebbero diffondersi ben al di là della Commissione europea».
La Repubblica, 2 ottobre 2022