Sono davvero partiti?

16 Febbraio 2018

Prosegue il giro di incontri con il professor Gianfranco Pasquino, presso il CafèTeatro CostArena di Bologna. In questa seconda tappa ci si è soffermati sulla forma partitica, osservandone sia la prospettiva storica che quella comparativistica; nello studio di questa materia il politologo è certamente un punto di riferimento nel panorama nazionale.

Questo incontro al bar in cui ognuno sorseggia il proprio cappuccino mentre si parla di politica a molti ha ricordato le celebri parole della canzone di Gino Paoli, e viste le notevoli mutazioni sociali seguite ai tempi rimembrati in questa canzone, è bello poter vedere che anche nel 2018 si possano creare capannelli di persone che, in prossimità delle elezioni, conversano su cosa sarà.

Il professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna ha snocciolato un po’ quella che è stata la storia delle organizzazioni partitiche, facendo notare come ogni contesto socio-politico abbia creato le condizioni per la nascita, il mutamento, la riaffermazione o la fine di molte esperienze partitiche, principalmente in Europa, ma anche con ripetuti accenni all’esperienza statunitense.

Importante ricordare come, anche in Italia, i partiti siano stati funzionali e difficilmente sostituibili per il buon funzionamento dei meccanismi democratici. Valga come esempio quello del Partito Comunista che ha saputo veicolare per decenni le istanze della classe operaia, dei braccianti e non solo, ponendosi come protagonista nella stagione riformatrice che ha visto nascere lo Statuto dei lavoratori, il Servizio Sanitario Nazionale, la legge sul divorzio e quella sull’interruzione di gravidanza, solo per citarne alcune, pur non entrando mai nel Governo dopo il 1947.

Lo stesso si può dire della Democrazia Cristiana, che pur avendo una struttura interna molto diversa da quella del PCI e sicuramente meno monolitica, è riuscita a conquistare sempre la maggioranza relativa e si è fatta portatrice delle istanze della parte con maggior sentimento cattolico della popolazione italiana. Visse da protagonista indiscussa soprattutto i primi vent’anni della storia repubblicana, compresi quelle del cosiddetto boom economico.


Dunque ci si è chiesti come e perché tra la fine degli anni’80 e l’inizio dei ’90 ci sia stato un crollo di queste strutture partitiche, che avevano un forte radicamento territoriale, e contestualmente con Berlusconi si sia aperta una fase personalistica e un notevole ridimensionamento dell’importanza dei partiti in quanto organizzazioni sociali portatrici di interessi collettivi.

Le motivazioni sono tante e ogni partito ha subìto un percorso differente, ma la velocità di cambiamento è stata così rapida e totalizzante anche perché i protagonisti di quella stagione politica non ebbero la percezione reale di ciò che stava accadendo, e quando la ebbero il vento era già cambiato.

Ma Pasquino si pone e ci pone una domanda: come può una sola persona avere la percezione e la capacità di interpretare ogni bisogno sociale? Come può ‘un uomo solo al comando’ capire tutto ciò che avviene nella società e avere pronta la miglior risposta politica?

Qui si concentra il discorso sulla necessità di una struttura necessaria tra cittadini e Organi legislativi ed esecutivi. Questa struttura c’è e si chiama “partito”, ma deve essere rimessa in sesto e utilizzata per ridare veramente voce alle istanze degli elettori.

Sicuramente, per rendere efficace questa rinascita della rappresentatività un passaggio cruciale sarà la futura legge elettorale, che si spera faccia tornare il pallino nelle mani dell’elettorato, perché i partiti che continuano a fare leggi elettorali solo pensando all’autoconservazione non potranno mai dirsi rappresentativi di qualcuno che non siano essi stessi. Tantomeno si può dire che la formazione interna delle decisioni qualifichi come partito, movimento o altro un organizzazione politica.

Pasquino dice a chiare lettere che la caratteristica peculiare di un partito è quella di eleggere tra i propri membri dei rappresentati che vengono investiti di determinati poteri e di determinati oneri. Quindi un eletto non può essere paragonato all’elettore, come nel famoso mantra “uno vale uno”, perché l’eletto è investito di responsabilità e poteri il cui esercizio non è assolutamente paragonabile alla responsabilità dell’elettore.

In conclusione, l’incontro di oggi ha evidenziato la necessità della presenza dei partiti per una corretta e sana convivenza democratica, così come si è evidenziato che le storture della personalizzazione possono essere  pericolose per l’efficacia di una buona rappresentatività. Ma con un’adeguata legge elettorale e con un sussulto d’orgoglio da parte di chi è portatore di interessi collettivi, si può tornare, grazie alla struttura partitica, a creare nuovo benessere e a dare una visione politica lungimirante a questo nostro Paese.

(*) L’autore è socio del Circolo LeG di Bologna. L’incontro con il professor Pasquino si è svolto a Bologna, il 10 febbraio scorso.

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