La campagna elettorale per le amministrative ha per alcune settimane tenuto i riflettori spenti sul referendum costituzionale; o meglio abbassati. In alcuni casi, come in quello di Torino e di Bologna, i rappresentanti del NO (Zagrebelski e la sottoscritta) hanno rilasciato dichiarazioni per sottolineare come il voto per il sindaco non avrebbe dovuto essere dato secondo le preferenze espresse dai candidati (nei due casi in questione, Fassino e Merola) per il SI. Oggi, all’indomani delle consultazioni, delle vittorie e delle sconfitte, il referendum torna ad essere al centro. Ma qualche cosa è cambiato con queste elezioni: la sconfitta netta del Pd, la sua perdita del voto popolare, gettano sul referendum una diversa luce. Per alcune ragioni che meritano di essere sottolineate.
La prima ragione sta nell’effetto sorprendente dell’impatto inverso del dominio mediatico televisivo e giornalistico del Pd di Renzi: l’esposizione quotidiana del Presidente del consiglio e l’attacco nei confronti dei candidati del M5S non sembra abbia portato i risultati sperati. La sovraesposizione mediatica appare anzi una condizione ingombrante – gli italiani hanno dimostrato di comprendere l’inequità di questo potere e l’insopportabilità del disequilibrio di influenza. Questa è un’avvisaglia di quanto potrà succedere con la campagna referendaria.
La seconda ragione sta nel declino di gradimento di Renzi e del suo partito da parte di molti elettori – e anche l’astensione è un segno di questo allontanamento. Il Pd a guida Renzi non convince nemmeno coloro che più sono vicini a questo partito. Perde voti tra i ceti popolari e genera astensione, un fenomeno questo ultimo che già si era manifestato nelle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna di due anni fa. L’aver trasformato il referendum costituzionale in un plebiscito su Renzi non sembra fare intravedere scenari soddisfacenti per il Sì proprio perchè il leader piace poco.
La terza ragione sta nell’esplicita dichiarazione del leader di M5S, Di Maio, di destinare d’ora in avanti l’impegno del Movimento contro la proposta Renzi-Boschi. Se il M5S si dedicherà a questa campagna ci sono buone ragioni per sentirsi più ottimisti – non per voler attribuire poteri taumatirgici a questo movimento, ma perchè i cittadini che si stanno impegnando ogni giorno per la Costituzione saranno meno soli.
Abbiamo spesso parlato di cittadinanza referendaria, di solitudine dei cittadini nel caso di questo referendum – che nessun partito ha fino a questo momento guidato o sostenuto con determinazione. I proclami, i documenti, i banchetti per raccogliere firme per il NO e per chiedere il referendum sull’Italicum sono frutto del lavoro di cittadini impegnati, non di politici legati a partiti. Sembra che chi sta nelle istituzioni e il popolo siano due mondi che operano su due obiettivi: i primi per garantirsi un potere decisionale che con la Renzi-Boschi sarebbe superlativo, e il secondo per respingere quel tentativo e contenere il potere di chi ha potere.
Fino a questo momento il SI e il NO hanno corrisposto rispettivamente al “paese legale” e al “paese reale” per usare un dualismo che è vecchio quanta l’unità del nostro paese. Ora, benchè il M5S non sia (ancora) un movimento dell’establishment e, anzi, cresca nei consensi elettorali proprio per la sua posizione contro l’establishment, non è tuttavia irrilevante la dichiarazione di Di Maio. I cittadini che si impegnano per il NO possono avere un aiuto importante.
Queste tre ragioni, che le recenti consultazioni hanno messo sul tappeto, gettano nuova luce sulla campagna referendaria. Comincia una nuova fase.
(*) L’articolo della presidente di Libertà e Giustizia, Nadia Urbinati, verrà pubblicato sabato prossimo su “Left”.