L’influenza delle mafie e i rischi del negazionismo

27 Aprile 2016

Giorgio Velardi su “Lettera43” del giorno 8 aprile 2016 ci fornisce con il linguaggio dei numeri un quadro dell’Italia dei comuni commissariati.  Ci ricorda che negli ultimi anni sono cresciuti di numero, che il fenomeno è esteso in tutto il paese, e che in atto i comuni commissariati sono 232, di cui 14 per infiltrazioni mafiose. Nel periodo  2010-2015 i comuni sciolti per collegamenti con le mafie sono stati 61.

Si possono fare alcune considerazioni.

Se per un verso lo scioglimento dei comuni può essere ricondotto a fisiologici passaggi democratici, per altro mancate approvazioni dei bilanci, gestioni amministrative non trasparenti, contenziosi dai costi superiori al valore della materia del contendere, appalti pilotati e società partecipate fuori controllo costituiscono preoccupanti segnali di disfunzioni del settore democratico e sono la rappresentazione di un tessuto sociale più facilmente aggredibile dal mondo della corruzione.

Per quanto riguarda il dato relativo  ai comuni commissariati per infiltrazioni mafiose, questo  è decisamente preoccupante e ciò a prescindere dalle considerazioni relative ai singoli casi. Se pensiamo poi che i comuni confinanti spesso condividono imprenditorie, economia e cultura con il comune infiltrato, valutiamo meglio la vastità del fenomeno.

E’ di questi giorni anche la notizia che la commissione antimafia vuole porre l’attenzione, per quanto possibile, sulle candidature, in vista delle prossime elezioni amministrative. E’ questo un fatto importante che può contribuire ad impedire guasti sociali, ad arginare l’assalto e l’occupazione dei comuni.

Le nuove mafie occupano gli spazi che sempre hanno  occupato, controllano i territori da sempre controllati ma sempre di più  tendono anche a mettere i propri uomini alla guida dei centri direzionali e di spesa.

Oggi  con le infiltrazioni e l’occupazione dei comuni è a rischio la stessa genuinità del procedimento per l’assunzione delle decisioni;  mafiosi e corrotti vogliono occupare spazi democratici per elaborare essi stessi provvedimenti favorevoli al perseguimento dei loro interessi. E per le interconnessioni inevitabili tra i territori il rischio coinvolge la genuinità della normativa regionale.

Il traffico di influenze e il voto di scambio alimentano ed irrobustiscono il torbido intreccio tra chi ricerca  denaro e  chi ricerca potere in modo scorretto.

I numeri relativi ai comuni sciolti per collegamenti con la mafia costituiscono un ulteriore segnale dell’esistenza di gruppi legati da interessi economici e di potere contigui alle mafie. E non è solo un fatto delle regioni nelle quali storicamente nascono le mafie. In tutte le regioni si rinvengono ormai uomini e gruppi che sono disposti a entrare in contatto con esponenti delle associazioni criminali per perseguire i propri interessi economici e/o di potere, consapevoli di concorrere di fatto al progresso delle mafie. Ed anche se si tratta di gruppi minoritari riescono a condizionare la vita  democratica del paese.

E’ necessario  elaborare normative nazionali ed anche europee, trasparenti e rigorose nel contrasto  alle mafie ed al mondo ad esse contiguo, ma anche prendere atto che mafiosi e contigui si avvantaggiano di qualsiasi errore provenga dalle istituzioni e dalla società civile.

Negare la sussistenza del reato di concorso esterno in associazione mafiosa è operazione culturale  certamente legittima e giustificabile alla luce della carenza normativa; occorre però che contestualmente   si riconosca l’esistenza di una parte della società contigua alle mafie. La storia politica  e alcune ricostruzioni giudiziarie di vicende coinvolgenti mafie, imprenditori corrotti e “malapolitica” in Sicilia, Calabria, Campania e oggi anche nelle regioni economicamente più avanzate dimostrano chiaramente che una società “parallela e consapevolmente coinvolta” esiste. E’ in questa parte della società che si formano ed emergono i concorrenti esterni alle associazioni mafiose, gli uomini che,  privi di etica, di fatto promuovono lo sviluppo dell’imprenditoria mafiosa.

Tutti coloro che hanno la possibilità di occupare spazi pubblici hanno il dovere di chiedersi se quanto esprimono sul piano scientifico, politico, culturale e informativo possa o meno costituire un vantaggio per le organizzazioni criminali. Nella misura in cui la valutazione suggerisce di non escludere effetti collaterali favorevoli al mondo del crimine, la manifestazione del proprio pensiero dovrebbe essere formulata senza ingenerare equivoci e delegittimazioni devastanti.

Non chiediamo censure, non suggeriamo autocensure, ma chiediamo che chi manifesta pensieri critici o contribuisce alla diffusione del pensiero d’altri lo faccia professando quale premessa la scelta di campo in favore dello Stato, delle istituzioni,  dei suoi servitori e della società civile onesta.

I dati evidenziati sui commissariamenti  dei comuni confermano, come dice  Velardi, che “aumenta l’influenza delle mafie”.

Evitiamo tutti di porre in essere comportamenti che possono essere avvertiti come negazione delle mafie.

(*) Socio di LeG Messina

Il testo è tratto dal blog “Dentro la costituzione”, pubblicato su “Lettera 43” il 19 aprile 2016

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