Dopo il risultato referendario, se dovesse vincere il No si porrebbe da subito un problema di non poca rilevanza. I sostenitori del Sì attribuirebbero al mantenimento dell’attuale sistema l’impossibilità di realizzare in tempi brevi politiche incisive e i mancati contenimenti dei costi della politica. Al successo del No verrebbero anche imputati il quadro economico negativo, in realtà riconducibile a politiche inadeguate
Alle considerazioni emergenti dai temi affrontati nel corso dell’attuale campagna possono essere opposte considerazioni di significato diverso. Riforme tanto reclamizzate quali la buona scuola, il jobs act, normative emanate per salvataggi banche ed altre ancora, tutte considerate successi dell’attuale maggioranza, sono state tempestivamente approvate con l’attuale sistema. E non importa se altre forze politiche non le considerano riforme valide, importa che siano state approvate in tempi ragionevoli. Altre riforme, per tutte vedi quella sulla giustizia, sono state sacrificate non per i tempi necessari ma per l’incapacità di produrre un testo condiviso.
Sul piano amministrativo nomine e commissariamenti non hanno mai subito rallentamenti a ragione del sistema costituzionale, ad eccezione di alcune elezioni di componenti della Corte Costituzionale, del CSM e del Presidente della Repubblica, ma forse in questi casi la velocità non sempre si coniuga con il ben fatto.
Sui mancati contenimenti dei costi della politica una riduzione dei compensi dei parlamentari, dei consiglieri regionali e delle figure apicali della pubblica amministrazione e di altri enti riconducibili comunque alla PA, fatta con composta semplicità sarebbe in sintonia con il comune sentire e facilmente realizzabile. Non farlo, ricorrendo a manovre regolamentari ed a campagne nei confronti dei proponenti, dimostra che per l’autoconservazione della casta non è necessaria una riforma costituzionale.
La classe politica al governo ha legiferato ed amministrato, e qui non importa dire se bene o male, e non ha inciso sui costi proprio per scelta politica. Ma volendo rassicurare i sostenitori del Sì e gli incerti per il dopo 4D si può osservare che, non essendo giuridicamente vietato prospettare una nuova riforma, esistono spazi per affrontare gli stessi temi in termini più condivisi e meno confusi qualora dovesse vincere il No.
Al contrario, l’imperfezione della riforma riconosciuta dagli stessi promotori determinerà, qualora dovesse vincere il Sì, un periodo di instabilità politica per superare il quale magari si chiederà un voto per garantire la governabilità. E per far ciò si modificherà o meno l’italicum per muovere alle elezioni da una posizione di forza.
Ma queste modifiche della legge elettorale, che potrebbero essere influenzate anche dal giudizio della Corte Costituzionale, lo saranno sicuramente dai rapporti di forza tra alleati di governo e dai rapporti di forza con le opposizioni e prima fra queste il M5S.
Con semplicità, evitando di mettere insieme argomenti di rilievo costituzionale meritevoli di trattazione non congiunta, si possono prospettare per il caso dovesse vincere il No diversi percorsi come spunti per uno studio comune e da approfondire.
CNEL
Per abolirlo una legge costituzionale ad hoc e solo per l’abrogazione dell’art.99 nei termini in cui oggi è formulata la riforma consentirebbe in tempi ridottissimi il conseguimento del risultato voluto. E senza coinvolgere il cittadino in scelte referendarie, soprattutto se su quesiti multipli per i quali legittimamente si può pensare di rispondere in modo diverso senza essere obbligati con un si o con un no ad accettare o respingere tutto il pacchetto
Contenimento dei costi della politica con riferimento al numero dei parlamentari
Invece di incidere solo sul numero dei senatori si potrebbe incidere anche sul numero dei deputati. Una diminuzione a 415 unità consentirebbe di avere più o meno gli stessi risparmi ed assicurerebbe comunque con i territori una relazione adeguata regione per regione.
Superamento del bicameralismo paritario
Il tema puó essere affrontato in tanti modi molto meno confusi di quelli seguiti nel testo della riforma. Anche qui un approccio semplice, come semplici devono essere le carte costituzionali, consentirebbe di raggiungere risultati nel senso auspicato, senza il rischio di incidere sulla forma di governo ed assicurando al tempo stesso quella maggiore velocizzazione del procedimento legislativo da più parti auspicata.
Si potrebbero prevedere competenze diverse per le camere e di seguito si indica una esemplificazione, e solo una semplificazione di studio.
La Camera dei Deputati dovrebbe essere chiamata da sola a votare la fiducia e le leggi e le scelte non riservate alla competenza concorrente o esclusiva del Senato.
IL Senato della Repubblica potrebbe essere invece la camera delle commissioni d’inchiesta, dell’elezione dei giudici costituzionali, dell’elezione dei componenti del CSM., delle leggi di ratifica dei trattati internazionali e di altre da individuare.
Entrambe le camere cosi come oggi dovrebbero eleggere il Presidente della Repubblica ed approvare le riforme costituzionali e le leggi elettorali.
Sistemi elettorali non improvvisati potrebbero garantire un successo elettorale che consenta all’esecutivo di governare con più speditezza, una Camera dei Deputati che possa esprimere una maggioranza precisa ed un’opposizione quantitativamente apprezzabile, un Senato che assicuri la presenza delle diverse posizioni politiche esistenti nel paese.
Si avrebbe così una Camera dedicata alla legislazione ordinaria ed alla condivisione di scelte essenzialmente politiche ed un Senato con competenze proiettate alla custodia della carta costituzionale ed all’individuazione di rappresentanti istituzionali e costituzionali.
Una legislatura potrebbe durare solo quattro anni, prevedendosi la non rieleggibiltà dello stesso premier per piu’ di due mandati e l’ineleggibiltà alla carica di Presidente della Repubblica per chi ha svolto funzioni di premier negli ultimi anni, assicurandosi così dei contrappesi ad una maggiore incidenza dell’esecutivo.
Una rivisitazione del quadro normativo delle automie andrebbe ripensata con valutazioni attente al necessario coordinamento con la UE e non con un testo contraddittorio e fonte di sperequazioni tra le stesse Regioni, quale quello sottoposto al quesito. Solo dopo una valutazione condivisa, che affronti anche il tema dell’ attualità del valore delle Regioni a Statuto Speciale, potrebbe avere un senso pensare a competenze specifiche in materia di autonomie territoriali.
Questa è come detto solo un’ipotesi di studio e tante altre sono immaginabili per superare il bicameralismo paritario.
Vale la pena portare avanti una riforma confusa e incerta quando è possibile qualcosa di semplice e comprensibile per raggiungere i medesimi risultati?
Vale la pena mettere a dura prova il sistema costituzionale con mutamenti profondi e imperfetti?
Vale la pena votare per il meno peggio?
(* ) Già magistrato, socio del Circolo LeG di Messina