Dopo il silenzio assenso, dopo l’accorpamento delle soprintendenze e la loro confluenza nelle prefetture, dopo il radicale divorzio tra musei e territorio, una riforma dell’esportazione delle opere d’arte sta per cancellare un altro pezzo del nostro umiliato sistema di tutela. E non uno qualunque: è proprio sulla regolamentazione delle esportazioni che il sistema poggia da almeno quattro secoli.
Nel 1603 il granduca di Toscana affidava all’Accademia del Disegno la «facultà di dichiarare» quali maestri fossero inesportabili. E, nel 1660, il poeta veneziano Marco Boschini lodava «la prudenza /de chi governa el Stato venezian»: perché, se in queste materie non fosse entrata «la regia man» (il potere pubblico), «piture adio, Venezia sarìa senza».
È solo grazie a questa lunga stagione di tutela che l’Italia è ancora – malgrado tutto – quella che è. Ed è in forza di questa tradizione (recepita tra i principi fondamentali della Costituzione, all’articolo 9) che l’Italia ha ottenuto l’eccezione culturale al Trattato di Maastricht (1992) grazie alla quale le opere d’arte del passato non sono merci qualsiasi.
La pessima legge proposta da Andrea Marcucci va in direzione opposta. Su richiesta della parte meno lungimirante del mercato dell’arte, essa allarga di vent’anni la zona franca (così, per dire, i quadri degli ultimi vent’anni di Giorgio Morandi partiranno all’istante), e soprattutto introduce l’automatismo della soglia di valore, per giunta autocertificata.
Ora, non solo il valore venale non è l’unico metro per decidere (ci sono opere importantissime storicamente che non costano più di 150.000 euro), ma soprattutto non si deve far valutare l’opera dal suo interessato proprietario.
Tra errori in buona fede, e non, rischia di uscire davvero di tutto, e gli eventuali controlli ex post non potranno recuperare i buoi fuggiti dalla stalla. Con la stessa legge, in Slovacchia un busto di marmo raffigurante papa Paolo V è uscito perché valutato 24.000 euro: salvo poi scoprirsi che era di Gian Lorenzo Bernini (è finito al Getty di Los Angeles, pare per 30 milioni di euro).
Possiamo e dobbiamo rendere più efficienti, veloci e autorevoli gli Uffici Esportazione (magari assumendo giovani storici dell’arte), ma non possiamo sostituire il loro giudizio tecnico con l’arbitrio del mercato e l’interesse privato. Se questa legge passerà, verrà il giorno in cui gli stessi mercanti si accorgeranno di non aver più nulla da vendere, in Italia. Ma sarà tardi.
Repubblica, 18 marzo 2016