Massimo Cacciari, Da matti pensare che cultura significhi regalare 500 euro. Il premier non ha una strategia

04 Dicembre 2015

Roma. Massimo Cacciari promuove le scelte non interventiste del governo Renzi di fronte a terrorismo jihadista. Ma avverte: serve una visione completa dei fenomeni che nessuno ha ancora messo in campo.

Professor Cacciari, crede che la prudenza del premier corrisponda allo stato d’animo del Paese?

«Non è questione di prudenza. Qualsiasi persona sensata dice da tempo che contro un avversario così complesso serve una strategia altrettanto complessa. L’intervento militare può essere solo un aspetto della strategia, che però manca. All’Europa, all’Occidente, e anche all’Italia».

Non basta sottrarsi all’intervento in Siria?

«Stiamo dicendo che le bombe non bastano, ma non indichiamo una strada. Ci siamo accodati a una politica sbagliata nei confronti della Russia, che sta creando difficoltà a non finire sul fronte anti Isis. Dall’altro lato, nessuno sta dicendo come si affrontano i i problemi dei Paesi da cui provengono le centinaia di migliaia di profughi e migranti».

Si è cominciato dalle quote.

«Aumentare le quote va benissimo, ma un governo serio dovrebbe cominciare a contestare il termine dicendo all’Europa che qui non si sta parlando di quote latte. Le parole sono significative di assolute mancanze culturali. A noi è andata un po’ meglio degli altri perché finora, ringraziando Iddio, non abbiamo subito attentati. Ho dubbi che la nostra intelligence o che il nostro ministro degli Interni siano migliori di quelli francesi, penso piuttosto alla funzione protettiva che svolge il Vaticano: altro che bersaglio ».

Non rischiamo di essere considerati poco solidali con i francesi rifiutandoci di intervenire?

«Ma neanche Obama ha più nessuna intenzione di fare la guerra! E vedremo cosa accadrà quando i soldati francesi o tedeschi metteranno gli scarponi sul terreno. Piuttosto, assistiamo alla vanificazione di ogni ruolo delle Nazioni Unite, tanto che nemmeno più se ne parla. Tutto avviene attraverso mediazioni e accordi tra Stati».

Come siamo arrivati a questo punto?

«Con decenni di assoluta mancanza di una politica mediterranea in Europa. Assistendo da spettatori alle primavere arabe senza averle viste arrivare. È come se la diplomazia inglese si fosse accorta di Hitler quando aveva già invaso la Polonia ».

Possiamo rimediare?

«Una politica di questo tipo non la improvvisi. Bisogna partire dall’aspetto economico, lavorando al nostro interno sull’integrazione. E fuori da qui su come mostrare un Occidente amico. Finora abbiamo guardato solo il nostro ombelico. C’è un errore nel ragionamento quando non vedi il tutto. Diceva quel tale, e si chiamava Hegel, che solo il tutto, l’intero, è il vero».

È d’accordo con chi sostiene che serva una politica unica di difesa europea?

«È una delle tante cose da fare. Si è scelto di fare la moneta unica, gettando il cuore oltre l’ostacolo, senza uno straccio di politiche sociali comuni. Un disegno massonico-illuministico che poteva anche funzionare, se l’intendenza avesse seguito ».

Lascia poche speranze all’azione europea.

«E invece ce n’è una. Sono le divisioni nel campo avversario, cui spero le intelligence stiano lavorando. Nessuno ha letto la decisione dell’Isis di alzare così tanto la mira come un probabile segno di difficoltà. Sono due cose completamente diverse, ma negli anni ’70 le contraddizioni del brigatismo rosso sono esplose dopo il delitto Moro. Qualcosa di analogo è accaduto ad Al Qaeda dopo l’11 settembre. Il mondo islamico è profondamente diviso su quello che sta accadendo, gli inutili idioti che dicono “Islam bastardo” non hanno proprio capito nulla ».

L’idea di spendere in cultura almeno tanto quanto si spende in armi, le piace?

«Se per cultura Renzi intende dare 500 euro ai diciottenni, chiamiamo il 118. Se invece intende investire in ricerca, università, diritto allo studio – che in questo Paese manca terribilmente – fa benissimo».

 la Repubblica, 29 novembre 2015

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