L’equilibrio tra libertà e sicurezza

18 Novembre 2015

Si è fino ad ora sempre detto che la vittoria dei terroristi sarebbe loro assicurata se lo Stato democratico abdicasse ai suoi fondamenti, rinunciasse alle libertà costituzionali, cancellasse le garanzie riconosciute ai singoli nei confronti dei poteri pubblici.

L’Italia si fa vanto di avere combattuto il terrorismo rosso e nero che l’ha insanguinata negli Anni 70 e 80, senza rinunciare ai principi di libertà e democrazia che ne fondano la legittimità costituzionale.

All’epoca vi sono state modifiche legislative per consentire ai poteri pubblici – ciascuno del ruolo che gli è proprio – di affrontare la specificità del fenomeno terroristico.

Ma lo stato di diritto non è diventato uno stato di polizia.

E’ vero che vi è poca analogia con l’attuale attacco che viene portato alla gente nelle nostre città. Ieri a Parigi, altrove prima e forse anche dopo. Ma anche ora resta ineludibile la determinazione del punto di equilibrio, tra il ripristino di un accettabile livello di sicurezza e le garanzie di libertà delle persone. Il primo criterio che rende possibile ammettere straordinarie restrizioni alle libertà costituzionali è quello della loro efficacia. E’ appena ovvio che si parla di efficacia pensando alla capacità delle nuove misure di favorire la identificazione dei terroristi, la prevenzione delle loro azioni, l’arresto dei responsabili e la loro punizione.

Non c’entra con l’efficacia, la presumibile idoneità delle nuove misure a fermare l’emorragia di voti che colpisce il presidente e il suo partito al governo a vantaggio dei partiti rivali. Un elettorato sedotto da proclamazioni marziali e reso irriflessivo dalla paura seminata dai terroristi sembra chiede di farla finita. Ma non vi sono soluzioni facili e risolutive. E le iniziative annunciate, quando alla prova dei fatti si dimostrino inutili, hanno un effetto di ritorno terribile sul terreno della fiducia dei cittadini nella serietà e capacità di chi governa.

Quando invece si pensa a provvedimenti che possano effettivamente essere messi in pratica e risultare efficaci alla prova dei fatti, in situazioni di emergenza e tanto più di emergenza di lunga durata, occorre aprirsi alla discussione e alla decisione. Non c’è dubbio che la situazione che viviamo richieda maggiore efficacia investigativa, preventiva e repressiva e che in qualche misura ne derivi la compressione di talune libertà di cui ordinariamente nei Paesi liberi godiamo. Ma ha senso ed è accettabile che la legge imponga restrizioni se ad esse corrisponda una ragionevole previsione di efficacia. Non se si tratta di propaganda. Non se si tratta solo della rincorsa degli avversari alle prossime elezioni.

Così il socialista presidente Hollande, che nella notte stessa delle stragi di Parigi ha potuto, secondo la Costituzione in vigore, proclamare lo stato di emergenza, con tutti i poteri che esso riconosce alla forza pubblica, chiede ora addirittura che si modifichi la Costituzione per dare ancor maggiori poteri al governo. Ed elenca un’impressionante serie di «dover essere» per la polizia, la magistratura, i servizi di sicurezza. A vedere l’elenco punto per punto si ha la sconfortante impressione di inutilità o impraticabilità. E infastidisce il continuo ripetere, come formula vuota, che tutto avverrà nel rispetto dello stato di diritto. Come se sia compatibile con lo stato di diritto qualsiasi misura, per il solo fatto che viene introdotta con una legge.

Recentemente la Francia ha modificato le sue leggi per consentire ai servizi di sicurezza di utilizzare le più recenti innovazioni tecniche per controllare le comunicazioni di soggetti sospettati di preparare azioni criminali. L’Italia sembra andare nella stessa direzione. Non condivisibili sono le voci che si sono levate per protestare contro la riduzione della riservatezza delle comunicazioni dei cittadini. Non ha senso che lo sviluppo dei mezzi di comunicazione profitti solo a che vi fa ricorso per fini criminali. Naturalmente però è necessario che le attrezzature e le capacità di usarle siano effettivamente rese disponibili. Viene in mente ciò che è stato tante volte lamentato in Italia dalle forze dell’ordine, le cui pattuglie devono ridurre i servizi perché manca la benzina per farle circolare.

La questione dei mezzi materiali è centrale, insieme all’aumento dell’efficienza pratica nel loro uso e nel ricorso agli strumenti previsti dalle leggi. Cosa serve dire ai Francesi che il presidente ha «chiuso le frontiere», se qualche ora dopo uno dei terroristi in fuga, già registrato come pericoloso, è stato identificato in uscita verso il Belgio e lasciato passare? E senza necessità di nuove leggi, già ora se vi è sospetto di detenzione di armi ed esplosivi la polizia, senza necessità di autorizzazione preventiva da parte della magistratura, può procedere a perquisizioni. Quei sospetti di essere collegati con gli ambienti del terrorismo, già segnalati dai servizi di sicurezza, perché hanno potuto spostarsi in Francia e magari arrivarvi dal Belgio con quantità di kalashnikov e di esplosivi? E’ la mancanza di leggi che lo spiega, oppure è la mancanza di coordinamento tra le articolazioni dello Stato o la mancanza di azione?

Insieme ai mezzi materiali (e agli stanziamenti che richiedono) vi sono certo esigenze di strumenti normativi utili ad affrontare la situazione più problematica. Si tratta dei casi in cui a carico di certe persone esistono sospetti o anche gravi sospetti, ma non prove: persone ritenute pericolose che nulla hanno ancora messo in atto che ne consenta l’arresto. A questo proposito val la pena di notare che ai servizi di sicurezza francesi viene addebitato, come prova di inettitudine, il fatto che anche questa volta (ma già nell’attacco all’Hypercacher e a Charlie Hebdo) alcuni dei terroristi erano segnalati e registrati come pericolosi. A ben vedere invece si dovrebbe riconoscere che le indagini dei servizi di sicurezza avevano visto giusto. Ma è mancata da parte della polizia la capacità di neutralizzare la pericolosità rilevata. E’ questo il problema più drammatico per le conseguenze che ne abbiamo visto e per la difficoltà di risolverlo. Occorre provvedere sul piano delle possibilità di agire, oltre che con i controlli, le perquisizioni e le intercettazioni, anche con restrizioni della libertà delle persone, quando si sia in presenza di indizi di pericolosità, ma non di prove di reati commessi. Con il controllo del giudice, misure di sicurezza, previste dalla legge e fondate sulla pericolosità, rappresentano certo una restrizione di diritti, ma per la loro efficacia possono rappresentare un ragionevole equilibrio tra libertà e sicurezza.

La Stampa, 17 novembre 2015

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