Roma. «Io mi chiedo come sia stato possibile che dei governi moderni, responsabili, pieni di ottimi cervelli, non siano riusciti ad evitare che si andasse a finire in una situazione così drammatica». Jean-Paul Fitoussi, decano degli economisti della gauche più illuminata, non riesce a darsi pace. «L’Europa ha accettato, pur di non ricorrere a un supplemento di solidarietà, di prendere un rischio gigantesco, quello di una deflagrazione finanziaria mondiale di portata inimmaginabile. Ma ha anche accettato qualcosa di ancora più orribile», dice il guru di quel crogiuolo di pensiero progressista che è l’università parigina SciencesPo.
A cosa si riferisce, professore?
«Ha ragione per una volta la Merkel. Se salta la Grecia, e con essa sicuramente verrebbe giù l’intera architettura dell’euro, se finisce insomma l’idea di una moneta comune che avrebbe dovuto unirci anziché dividerci, salta l’intera idea dell’Europa. Solo che la cancelliera aveva in mano la possibilità di evitare tutto questo. Non lo ha fatto. Mi dannerò l’anima cercando di capire perché».
Forse perché non è facile negoziare con Tsipras e Varoufakis. Si raccontano aneddoti imbarazzanti sull’atteggiamento al tavolo negoziale.
«Macché. Se avesse voluto il governo tedesco avrebbe chiuso l’accordo. Certo, si trattava di fare ulteriori concessioni alla Grecia, che non ha fatto molto per meritarle. Ma bisognava avere l’intelligenza di astrarsi dal mero contenuto finanziario: bisognava salvaguardare l’integrità dell’Europa, visto che in un’Europa così fatta, ci piaccia o no, ci troviamo a vivere. Bisognava salvare l’idea di un continente che fino a pochi decenni fa era sconvolto da guerre vere, con milioni di morti, e oggi si trova a vivere in pace con una comune ambizione al progresso. Poi, la Merkel poteva, se non altro per riguardo agli altri, pensare: le vicende della storia portano la Germania ad essere la potenza dominante, però la memoria non inganna. Dopo la seconda guerra mondiale a Berlino fu condonato quasi per intero un immane indebitamento, perché non si ripetesse quello che era successo dopo la fine della prima, di guerra, quando invece i debiti non erano stati perdonati e si è dato il via a Weimar e tutto quello che è seguito. Ma dobbiamo proprio ricorrere a questi ricordi odiosi per spingere la Germania ad essere realista, flessibile, magnanima?»
Non c’era solo la Merkel a quel tavolo. Dagli altri governi europei perché non è venuta una parola in favore del buon senso?
«Semplicemente perché Hollande e Renzi si sono dimostrati non voglio dire delle mezze figure, ma solo dei generici dispensatori di buoni sentimenti. L’iniziativa politica è rimasta ai tedeschi, che sono di natura rigidi e inflessibili. Però in questo caso è inutile scomodare le categorie della differenza antropologica fra un berlinese e un ateniese: serviva uno sforzo di realpolitik. Anche perché c’è una teoria economica di base, che viene insegnata alle scuole medie, che dice che quando hai un forte credito non ha senso accanirsi sul debitore per spillargli per intero quanto dovuto, perché così si finisce con l’ottenere niente. Bisogna per forza negoziare per recuperare almeno metà, o due terzi o un terzo che sia».
Il problema è nelle cifre in gioco, che sono enormi: il salvataggio dell’Argentina costò 100 miliardi, qui ne sono già stati dispensati 350 e non bastano, fin dove si vuole arrivare?
«Guardi, innanzitutto la Germania e gli altri membri della troika, Bce e Fmi, devono mettersi la mano sulla coscienza. Hanno fin dall’inizio imposto una ricetta, quella dell’austerity, che non ha fatto altro che peggiorare la situazione. Avete corso lo stesso pericolo in Italia, vi siete salvati perché avete una struttura industriale di prim’ordine a differenza della Grecia. Io ho scritto l’anno scorso un libro, “La teoria del lampione”, per dimostrare che non bisogna guardare solo al cono di luce del lampione, dove evidentemente si vede solo che bisogna risparmiare, ma ampliare la visione al contesto. E si sarebbe visto che nella condizione attuale imporre alla Grecia una terapia lacrime e sangue avrebbe portato al punto in cui siamo ora. E alla vittoria dei movimenti antieuropei alle elezioni. Bel risultato».