Roma. Piergiorgio Morosini, ex gip di Palermo e oggi al Csm per Area, ha scritto il parere sulla manovra anti-corruzione. Che adesso definisce così: «È un passo avanti rispetto alle norme attuali. Le indagini saranno più efficaci. Ma occorre completare questo percorso».
Passo avanti, perché?
«Il premio per chi collabora potrà spezzare le alleanze omertose dei sistemi corruttivi. La necessaria restituzione del maltolto per chi vuole patteggiare è un segnale che la corruzione non paga. Sono due novità molto importanti. Non so lo sul piano della repressione, ma anche su quello culturale».
Però le nuove norme sul falso in bilancio non consentono le intercettazioni per le società non quotate…
«Questo è sicuramente un aspetto problematico a livello investigativo e forse anche su questo punto sarebbe opportuno un ripensamento in futuro, ma il nuovo reato è più simile al falso in bilancio ante 2002 (quando Berlusconi lo modificò, ndr.)».
Nella legge c’è il premio per chi collabora, ma non c’è invece l’agente provocatore. Perché fa così paura?
«La nostra è una tradizione contraria a questo istituto, tuttavia le convenzioni internazionali per la lotta alla corruzione prevedono queste figure che si sono dimostrate efficaci anche negli Stati Uniti. Non dimentichiamo che il sindaco di Washington, qualche anno fa, fu arrestato proprio per aver preso una tangente da un agente provocatore».
Mentre si discute dell’opportunità di tenere fuori dalla politica chi è condannato, non è strano che nella legge non ci sia una stretta sull’interdizione per i corrotti?
«Penso che chi viene condannato in via definitiva per corruzione debba essere interdetto in perpetuo dalle cariche pubbliche e non possa, rispetto a questa sanzione, salvarsi con una sospensione condizionale della pena».
Prescrizione, il futuro compromesso del governo parla solo di una sospensione. E lei invece?
«È un passo avanti, ma non basta. Occorre arrestarla con la sentenza di primo grado».
la Repubblica, 22 maggio 2015