Gianni Cuperlo:Renzi parli alle Camere se cambia la riforma diciamo sì all’Italicum

19 Aprile 2015

Roma. «Trattiamo». Gianni Cuperlo, leader della Sinistra dem, vede uno spiraglio nel scontro sulle riforme che ha spaccato il Pd. Cuperlo, crede o no alla mossa di Renzi? «Mi verrebbe da dire: prima vedere e poi credere. Le riforme le voglio e nei tempi dati».

Roma. «Trattiamo». Gianni Cuperlo, leader della Sinistra dem, vede uno
spiraglio nel scontro sulle riforme che ha spaccato il Pd.
Cuperlo, crede o no alla mossa di Renzi?
«Mi verrebbe da dire: prima vedere e poi credere. Le riforme le voglio e
nei tempi dati».
Una trattativa allora è possibile?«La Costituzione non è una merce di scambio dentro un partito. Il punto non è azzerare tutto e partire daccapo ma dotare il Paese di un assetto
istituzionale che stia in piedi e assicuri il buon funzionamento della democrazia. Cosa che il combinato tra Italicum e nuova Costituzione ancora non garantisce».
Ripristinare il Senato elettivo sarebbe un bilanciamento rispetto all’’Italicum?
«Ho sostenuto per mesi che la sfida era dare una logica al sistema. Un
vero Senato delle autonomie, come abbiamo sempre chiesto, e non l’ibrido
che si è votato, una riforma del Titolo V meno centralistica. Garantire la
governabilità assieme alla rappresentanza evitando che una maggioranza tra
deputati e senatori venisse nominata dall’’alto».
Quindi l’’apertura del segretario va accolta?
«Se il confronto è su questo, porte aperte. Ma non è materia da due battute ai giornali.
Il premier venga in Parlamento e dica come pensa di migliorare l’’impianto
complessivo».
E quali sono le condizioni che lei pone?
«Ad esempio si riapra l’’articolo 2 sulla composizione del Senato e il modo
di eleggerlo. Si rileggano funzioni e regole, magari sulla falsariga del
Bundesrat tedesco. Solo a quel punto l’’Italicum com’’è adesso avrebbe un
equilibrio diverso. E comunque la sua entrata in vigore andrebbe agganciata
al completamento della riforma costituzionale».
Dareste a quel punto il via libera sulla legge elettorale così com’’è?
«Io dico che quello sarebbe un cambiamento serio e avremmo un sistema più
bilanciato».
Renzi è certo che alla fine lei e i deputati di SinistraDem voterete
comunque l’’Italicum.
«Se è per questo diceva anche “Enrico stai sereno”. Io non cerco la
polemica, voglio dare una mano. E con qualche sofferenza ho votato sia la
riforma elettorale che quella costituzionale nei passaggi parlamentari
precedenti. L’”ho fatto per non chiudere il confronto e unire il Pd. Ma
adesso ripeto la domanda che ho fatto a Renzi l’altra sera. Perché ti vuoi
chiudere nel recinto della sola maggioranza di governo, e neanche tutta,
quando puoi allargare il sostegno a riforme destinate a durare per i
prossimi cinquant’’anni? Puoi uscire da questo passaggio con un governo più
forte e in grado di agire sull’’economia e i bisogni di chi fatica. Cosa ti
trattiene?» Cosa trattiene il premier, secondo lei?
«Non voglio pensare che l’’Italicum serva così com’’è per accelerare nuove
elezioni. Perché quello sì vorrebbe dire ignorare il futuro e fare un tuffo
nel passato ».
Le dimissioni di Speranza vanno respinte?
«L’’altra sera a caldo ho chiesto a Roberto di ripensarci. Lui ha compiuto
un gesto che gli fa onore. Deciderà in coscienza e con la coerenza che lo
caratterizza».
La minoranza però è divisa.
«Io voglio guardare avanti e so che contano le coerenze. A me più delle
minoranze sta a cuore la Costituzione. In questo senso non ha senso
immolarsi sull’’altare delle preferenze. Si corre il rischio di apparire per
quel che non siamo, gente preoccupata di conservare un seggio. Senza
contare le ricadute sulla vera emergenza che ci investe e che dovrebbe
suonare l’’allarme sulla sorte del Pd».
In che senso?
«Nel senso che ha ragione Scalfari, una sinistra senza popolo scompare e
non basta sventolare il 41 per cento delle europee. Perché quel popolo vive
nelle urne ma prima ancora in un sentimento comune. Se viene meno devi
capire chi sei. Io la campagna elettorale la farò come ho sempre fatto. Ma
se guardo allo stato del mio partito in tante realtà vedo quella crisi
esplosa da tempo e la soluzione non è commissariare a dritta e manca.
Bisogna distinguere il buono dal guasto. E capire che un partito non è solo
potere, ma cultura, etica, campagne dal basso. Posso farle un esempio?
Possibile che dopo il massacro in Kenya o quello dei palestinesi a Yarmuk
non vi sia stata una nostra mobilitazione diffusa? Attorno a noi il mondo
si infiamma, dallo Yemen alla Libia o con dei disperati che pregano Allah e
che nel loro fanatismo gettano a mare altri disperati che invocano il Dio
cristiano, e la sinistra, fatto un comunicato di cordoglio, torna a
spicciare i suoi affari. Ecco, questa è la malattia da curare»

  la Repubblica, 18 aprile 2015

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