Milano. «Il peccato originale è stato consegnare l’Expo 2015 ai grandi affari e agli immobiliaristi e mettere da parte le idee. Così si è dato spazio alla corruzione, e oggi ci troviamo in mezzo a mille preoccupazioni sulle strutture e sui padiglioni, e nessuna che riguardi principi e valori». È una diagnosi severa quella che il professor Nando Dalla Chiesa, presidente del comitato Antimafia di Milano, traccia del grande evento alle porte. Perché se Expo non ha conquistato l’opinione pubblica è anche e soprattutto per colpa degli scandali.
Professore, quello della legalità era un nodo decisivo: cosa non ha funzionato?
«Il punto decisivo è stato dare troppo potere ai costruttori e troppo spazio al lato economico. La proposta di Stefano Boeri per un’Expo “leggera”, sotto forma di un grande orto planetario, è stata accantonata per far posto alle grandi costruzioni. E il segno dell’eccessivo potere dato agli immobiliaristi, anche per la crisi degli altri settori. A partire da tutto questo, è riemerso un tessuto corruttivo preesistente, che viene da lontano e include anche gli uomini delle tangenti Anni 90».
Il nostro Paese è in grado di organizzare grandi eventi senza contaminazioni indesiderate?
«Saremmo incoscienti a dirlo, alla luce dell’attuale sistema politico e burocratico. Non terremmo conto delle risate sentite la notte del terremoto dell’Aquila, o dei soldi fatti sulla pelle dei migranti a Roma. Ci vorrebbe un altro paese, dove nei grandi eventi ci fosse la capacità di mettere in equilibrio l’interesse pubblico e gli interessi privati. Il principale merito di Mario Monti premier fu proprio rinunciare a candidare Roma per i giochi olimpici».
E un problema di controlli?
«È un problema di testa e di cultura, direi. Per Expo, dal comitato antimafia abbiamo fatto decine di interdittive ad altrettante imprese. C’è stato uno sforzo importante per contrastare le infiltrazioni mafiose. Non ci siamo accontentati dei protocolli, e i risultati ci sono stati. Lo stesso non è stato fatto in materia di corruzione, e chissà cosa i magistrati scopriranno ancora».
Di Expo si è parlato a lungo come opportunità di lavoro, ma poi si è ricorso molto al volontariato.
«Ogni evento con valore collettivo coinvolge dei volontari, ma lo fa nella sua parte culturale, chiamando a partecipare studenti e università, filosofi e scienziati. Per Expo c’è stato solo un appello generico al mondo della cultura. Si potevano mettere al centro i valori legati al cibo, dal made in Italy fino alla ricchezza delle terre confiscate alla criminalità. Invece alle idee sono stati preferiti i padiglioni, e continua a esserci un ottimismo molto superficiale. Ma Milano, questo sì, ne gioverà a livello di indotto».
La Stampa, 13 aprile 2015