Londra. Professore Anthony Giddens, lei è stato il teorico della Terza via, ma cosa significa essere di sinistra oggi? «Significa avere determinati valori. Promuovere l’eguaglianza, o almeno limitare la diseguaglianza; attivarsi per la solidarietà, non solo dallo Stato verso i cittadini ma anche tra privati, all’interno della propria comunità; proteggere i più vulnerabili, garantendo in particolare un sistema sanitario e altri servizi pubblici essenziali ai bisognosi».
Qualcuno potrebbe obiettare che sono i valori di sempre della sinistra: cos’è cambiato rispetto al passato?
«È cambiato il contesto. La globalizzazione e la rivoluzione digitale hanno frantumato le vecchie certezze. Battersi per quei valori resta l’obiettivo, ma difenderli richiede strategie differenti. Il socialismo vecchia maniera non può più funzionare come modello. Ma non funziona, l’abbiamo visto con la grande crisi del 2008, nemmeno il modello proposto dalla destra, quello di un liberalismo in cui praticamente il mercato governa il mondo. Serve allora una via di mezzo, un modello che io chiamo di capitalismo responsabile ».
La Terza via, di nuovo?
«No, perché quando formulai il modello della Terza via, poi applicato in diversa maniera da Clinton, Blair, Schroeder e altri, internet quasi non esisteva, muoveva appena i primi passi. L’accelerazione data ai cambiamenti sociali ed economici dalle innovazioni tecnologiche ha scardinato anche la Terza via, l’idea di un riformismo di sinistra che preservasse il welfare in condizioni di mercato e demografiche mutate. Oggi i supercomputer e la robotica stanno trasformando il mondo del lavoro. Non sono sicuro che i leader politici si rendano conto del livello di rivoluzione tecnologica che abbiamo imboccato».
Ce ne dia un esempio.
«Un recente studio dell’università di Oxford nota che, quando fu inventato il telefono, ci vollero 75 anni per portarlo in 50 milioni di case. Oggi, neanche dieci anni dopo l’invenzione dello smartphone, ce ne sono 2 miliardi e mezzo di esemplari in tutto il pianeta. La rivoluzione tecnologica corre più in fretta di qualsiasi altra rivoluzione politica, economica e sociale nella storia dell’umanità ».
Il Jobs Act varato dal governo Renzi in Italia è una riforma di sinistra?
«Sì. E io appoggio quello che Renzi sta facendo. Sono riforme importanti, ma da sole non bastano. Il modello del blairismo è diventato obsoleto per le ragioni che le ho appena detto».
Cos’altro potrebbe fare, Renzi?
«L’azione nazionale non è più sufficiente. Il mondo è troppo globalizzato. Occorrono riforme a livello europeo. E mi pare che il premier italiano potrebbe avere un ruolo di rilievo per cambiare l’Europa».
Come si lotta contro la diseguaglianza, da sinistra, in questo mondo globalizzato?
«Non è possibile che una ristretta élite si arricchisca sempre di più. Questa è una bolla di sperequazione pericolosa, destabilizzante. Parte di quei soldi devono essere tassati e andare verso la spesa sociale. E questo è un aspetto. L’altro è la re-industrializzazione. Non è più vero che le fabbriche debbano andare in Cina, dove del resto il costo del lavoro è in aumento. In America è cominciato un ritorno all’industrializzazione, deve cominciare anche in Europa: la deindustrializzazione europea ha colpito troppo la classe operaia».
Le sinistre radicali, in Europa, dalla Grecia alla Spagna, vedono nel saggio di Thomas Piketty sul capitale un possibile modello per un governo di sinistra.
«Piketty ha evidenziato un problema, il crescente gap ricchi-poveri, l’ingiustizia di fondo di un sistema, ma non mi pare che abbia indicato una soluzione concreta. Quando le sinistre populiste vanno al potere, non riescono a mantenere i loro obiettivi».
Blair scrive nelle sue memorie che sinistra e destra sono concetti superati, che oggi conta essere “aperti”, a immigrazione e libero mercato, o “chiusi”, cioè anti-immigrati e protezionisti.
«Io la penso come Bobbio. Sinistra e destra esistono ancora. Anche se chi è di sinistra, oggi, non può essere per la chiusura di frontiere e mercati. Il mondo è stato aperto da globalizzazione e internet. Nessuno può più chiuderlo».
la Repubblica, 3 aprile 2015