Il busto non si tocca: si sono proprio arroccati, i giudici della Corte costituzionale, in difesa del «loro» Gaetano Azzariti, il fascistissimo presidente del Tribunale della Razza riciclato da Togliatti e poi premiato nel 1957 (tutti smemorati) con la presidenza della Consulta. No, no e no: nessuna revisione. Nonostante spunti fuori una lettera dell’ex vicepresidente della Corte che due anni fa chiedeva già la rimozione del busto. Un atto d’accusa durissimo.
Scriveva Paolo Maria Napolitano il 16 novembre 2012 che l’uscita del libro di Barbara Raggi «Baroni di razza» imponeva che la figura di Azzariti fosse rivista. Per cominciare ricordava il giudizio di Renzo De Felice, il massimo studioso del fascismo, su quel «tribunale» infame voluto dal Duce per concedere a capriccio la patente di quasi ariano o di ebreo che avrebbe poi separato i salvati e i sommersi ad Auschwitz: «Se tutta la legislazione antisemita era immorale e antigiuridica, questa legge lo fu certamente più di ogni altra; essa infatti non si fondava che sull’arbitrio più assoluto…».
Più ancora, in quegli «anni tragici e grotteschi», la «Corte» guidata da Azzariti che da oltre un decennio era l’uomo forte del ministero della Giustizia fascista (e le leggi razziali non poteva scriverle certo un maestro elementare come Mussolini) finì per diventare «fonte di immoralità, di corruzione, di favoritismo e di lucro. E ciò mentre il rigore della legge e delle innumerevoli disposizioni ad essa connesse si abbatteva sempre più pesante su quegli ebrei che non volevano o non potevano piegarsi alla sopraffazione e al ricatto» .
Insomma, scriveva ai colleghi il giudice Napolitano nella scia di De Felice, a prescindere dal funzionamento del «tribunale» (i cui atti guarda caso sono tutti spariti) Azzariti «presiedette, fino alla caduta del fascismo, una commissione di natura politica, pienamente integrata della logica della persecuzione degli ebrei». E certo il Duce non gliel’avrebbe affidata se lui non fosse appartenuto alla «ristretta cerchia dei più elevati e fidati gerarchi del regime e se non avesse condiviso, almeno nelle linee generali, l’aberrante logica della “difesa della razza”».
Ora, chiedeva in quella lettera il giudice della Consulta, se Azzariti avallò l’«orrenda mutilazione dei diritti» di chi non poteva dimostrare di non essere ebreo e se presiedendo quel «tribunale» condivise «la folle e vergognosa logica» della legislazione razziale perché mai il suo busto deve avere l’onore di restare esposto nel corridoio nobile della Corte costituzionale? Non c’è neppure «un motivo di carattere generale» perché «non vi sono i busti di tutti i presidenti». A farla corta, chiedeva Napolitano, togliamolo. Richiesta respinta. Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto…
L’uscita mesi fa del saggio di Massimiliano Boni «Gaetano Azzariti: dal Tribunale della razza alla Corte costituzionale», ha però riacceso sotto la cenere la brace della polemica. Tanto più grazie a certe citazioni. Come un discorso del futuro presidente della Corte tenuto molto prima che Palmiro Togliatti, scegliendolo come braccio destro, gli desse una ripulita col detersivo di marca Pci: «La diversità di razza è ostacolo insuperabile alla costituzione di rapporti personali, dai quali possano derivare alterazioni biologiche o psichiche alla purezza della nostra gente». E non era una sbandata giovanile: aveva allora 61 anni .
Così, dopo aver raccontato la storia ai lettori del Corriere , quando abbiamo saputo della lettera di Napolitano per due anni tenuta sotto silenzio, abbiamo chiesto ufficialmente alla Consulta il verbale, in teoria pubblico, della riunione della Corte amministrativa in cui la proposta di togliere il busto fu respinta. Risposta gentilissima del Segretario generale: il verbale c’è, ma occorre «sottoporre all’Ufficio di Presidenza della Corte la questione per l’autorizzazione necessaria». L’altro giorno, finalmente, ecco la risposta definitiva: «La Corte costituzionale corrisponde volentieri alla Sua richiesta di informazioni e Le conferma di essersi in effetti espressa, nella seduta del 12.12.2012, sulla proposta del giudice Paolo Maria Napolitano, decidendo di non rimuovere, allo stato, il busto di Gaetano Azzariti».
Grazie dell’informazione che avevamo già, ma il misterioso verbale? Boh…
Cosa sia successo nella riunione che ha partorito quella striminzita risposta, ovviamente, non si sa. Ma la Corte manda a dire: il busto del giudice fascista e razzista, troppo tardi demolito dagli storici, sta bene dove sta. Perché? Perché sì.
Corriere della Sera, 29 marzo 2015