Parigi – Per Tzvetan Todorov, in un sistema democratico ogni potere deve avere dei limiti. Solo così la democrazia può difendersi dai suoi nemici. Lo studioso francese di origine bulgara ne parlerà domenica a Udine insieme al direttore di Repubblica Ezio Mauro, in un dialogo pubblico intitolato La libertà e i suoi vincoli. Per Todorov una simile riflessione è più che mai d’attualità, specie dopo gli attentati di Parigi. «Personalmente, in quegli atti di violenza non vedo un attacco ai fondamenti della democrazia, né un esempio di scontro di civiltà», spiega lo studioso molto noto anche in Italia per i suoi saggi, tra cui I nemici intimi della democrazia e La paura dei barbari . «Gli stessi attentatori hanno spiegato il loro gesto come vendetta per le caricature del Profeta e gli interventi militari occidentali. Ciò che è in aperta contraddizione con i principi democratici non sono le convinzioni all’origine di quegli atti, quanto la fredda esecuzione di diciassette persone. Sono quindi simili ai passati atti terrorismo della Raf in Germania o delle Br».
Secondo molti osservatori, gli attentati di Parigi hanno voluto colpire alcuni principi universali libertà e uguaglianza di diritti considerati fondamenti della democrazia.
«La democrazia liberale non è un regime fondato su valori universali. Tale definizione vale per le teocrazie. Oppure per i sistemi totalitari che pretendono di realizzare un progetto legittimato dalla scienza (la biologia delle razze, il materialismo storico). Le democrazie non invocano valori assoluti, la loro azione nasce dal compromesso tra principi complementari, ad esempio tra eguaglianza e libertà, che possono coesistere ma anche confliggere, oppure tra potere del popolo e libertà degli individui».
Vale anche per la libertà d’espressione? Dopo l’attentato a Charlie Hebdo, si è riaperto il dibattito sui suoi limiti.
«La libertà d’espressione non è un valore inalienabile, intangibile o non negoziabile. Lo stato democratico è espressione della volontà popolare e contemporaneamente protezione delle libertà individuali, che deve difendere insieme a una pluralità di valori, come la sicurezza, la giustizia, l’eguale dignità di tutti. Tali valori tendono a limitarsi l’un laltro. E la politica di uno stato è sempre un compromesso tra valori diversi. Limitare la libertà d’espressione non significa introdurre una censura oscurantista ma assumersi le proprie responsabilità politiche ».
Quindi lei è favorevole a tali limitazioni?
«Anche la libertà di stampa è un potere. E in democrazia, come diceva Montesquieu, un potere senza limiti non è legittimo. Non dimentichiamo che, nel XIX secolo, il giornale dell’antisemita Edouard Drumont si chiamava La libre parole : per lui libertà era denigrare gli ebrei. Ora in Europa i partiti xenofobi invocano la libertà di stampa per poter dire impunemente tutto il male dei musulmani. Quando difende la libertà di stampa, bisognerebbe sempre interrogarsi sul rapporto di potere tra chi l’esercita e chi la subisce. Drumont attaccava una minoranza gli ebrei già discriminata, beneficiando dellappoggio della maggioranza. Edward Snowden, che ha svelato le derive illegali dei servizi americani, è un singolo individuo che accusa il governo del suo paese. Dobbiamo condannare il primo e difendere il secondo».
Se ogni comunità impone i propri limiti, lo spazio di libertà condiviso si riduce enormemente. La nozione di laicità può essere d’aiuto?
«Le nostre società non sono mai state completamente omogenee. Sono sempre state costituite da popolazioni portatrici di molteplici differenze: regionali, professionali, di classe, di sesso o di età. Per gestirle, si è fatto ricorso a due principi complementari: quello della legalità comune (una stessa legge per tutti) e quello della tolleranza (per tutte le pratiche non coperte dalla legge). Di fronte a cittadini di diverse religioni o senza religione, la laicità è una necessità, a condizione che lo stato sia neutrale nei confronti delle diverse fedi, senza pretendere la scomparsa dallo spazio pubblico di ogni segno di appartenenza religiosa, come accade a volte in Francia. Le appartenenze culturali fanno parte delle persone».
I terroristi parigini sono nati e cresciuti in Francia.
Com’è possibile che una società democratica abbia partorito i propri nemici più radicali?
«Più che della democrazia, gli assassini di gennaio sono i figli della società mondializzata. Cercano informazioni su internet, uno spazio virtuale che nessuno controlla e nel quale è ormai impossibile distinguere tra fatti e affabulazioni. Alla ricerca di una causa sacra che dia un senso alla loro vita, sono facile preda di abili predicatori».
Pur senza fare ingiuste generalizzazioni, come interpreta il fatto che i terroristi parigini si richiamassero all’islam?
«La difficoltà consiste nell’articolare due proposizioni entrambe vere: gli atti terroristici non dipendono dalla religione musulmana eppure i loro autori si richiamano all’islam. Più che nel Corano, che come tutti i libri sacri contiene affermazioni contraddittorie, occorre cercare la spiegazione nella storia dei paesi musulmani, dove le correnti d’interpretazione fondamentaliste hanno impedito un’evoluzione della dottrina».
Come le sembrano oggi le relazioni tra l’islam e il mondo occidentale?
«Occorre riconoscere che l’islam è ormai una religione praticata nel mondo occidentale, di conseguenza è possibile domandare ai suoi fedeli di rispettare le leggi comuni. Al contempo occorre evitare l’islamofobia. Inoltre gli interventi militari nei paesi musulmani hanno prodotto risultati assai negativi, hanno favorito l’identificazione dellOccidente con il ruolo dei dominatori, il che evidentemente ha accresciuto il risentimento nei suoi confronti. Purtroppo, le scelte dei nostri governi non sono sempre coerenti».
la Repubblica, 20 marzo 2015