Riassetto della Rai: per la prima volta, dalla caduta del muro di Berlino, un direttore generale ci sta provando. Il modello di riferimento è il migliore: la Bbc.
Parte dai tre telegiornali il piano del direttore generale per riorganizzare l’azienda, ridurre i costi e le dirigenze
«Nessuno fermerà la modernità, fuori i partiti dalla Rai», tuonò il premier. Furono fischi, e applausi. Io applaudo, non perché i partiti siano «cattivi», ma perché decidono indirizzo e governance di un’azienda sulle cui caratteristiche capiscono poco. Fra i 40 senatori e deputati, membri della commissione parlamentare di Vigilanza, in cui sono rappresentati tutti i partiti in proporzione ai voti ricevuti, troviamo dirigenti di partito, imprenditori, architetti, impiegati, sindacalisti (Epifani) ex ministri (Gelmini, Brunetta, Gasparri), e qualche raro giornalista con esperienza di ufficio stampa. Garantiscono la lottizzazione (che chiamano pluralismo) ma come tutelano il contribuente che paga il canone? Che competenze hanno per orientare i contenuti delle trasmissioni e dell’informazione?
Ora il direttore generale della Rai decide che per entrare nella «modernità» bisogna riorganizzare l’azienda, ridurre costi e dirigenze, differenziare il prodotto e renderlo più competitivo. Si comincia con i telegiornali. Nessuna tv pubblica al mondo ne ha tre, con tre organizzazioni autonome declinate per influenza politica. Gubitosi ha deciso di accorpare e il modello di riferimento è quello considerato il migliore su scala planetaria: la Bbc.
Si studiano gli aspetti di razionalizzazione tecnica: gli anglosassoni hanno creato una unica newsroom per la raccolta delle notizie e il coordinamento dei mezzi e dei giornalisti sulle diverse piattaforme. In pochi anni hanno ridotto i costi del 20%, eliminato 50 dirigenti intermedi, e sono diventati imbattibili nella qualità dell’offerta. Alla commissione parlamentare di Vigilanza questa «rivoluzione» non piace subito e ne vogliono capire di più. Lo scorso dicembre convocano in audizione la signora Anne Hockaday (lungo passato da corrispondente per la Bbc, ora responsabile della newsroom) per farsi spiegare come funziona da loro questa novità. Il collegamento con Londra cade continuamente, la signora parla, ma in aula non si sente quel che dice. Alla fine la commissione decide di inviare le domande per email.
Prima domanda dei nostri: «Come fate a garantire il pluralismo informativo con una sola newsroom?» Risposta: «Noi abbiamo una sola newsroom che organizza e supporta il lavoro dei giornalisti per metterli in grado di interagire sulle diverse piattaforme con la miglior velocità e qualità possibile. Ogni programma e ogni canale ha il suo direttore e la sua autonomia editoriale». Abbiamo confuso la macchina organizzativa con il telegiornale che viene trasmesso unicamente su Bb1 e della cui imparzialità è difficile dubitare. Pazienza. Seconda domanda: «Il singolo giornalista che realizza un servizio solo per la tv, può farlo anche per la radio e Internet con la stessa efficienza e qualità?». Risposta: «Certamente sì, il giornalista che realizza un servizio per la tv conosce la storia, e quindi se è richiesto la può raccontare anche alla radio e pubblicarla sul web».
Se l’avessero chiesto a noi, che lo facciamo da anni, avremmo risposto uguale. Facciamo solo più fatica, perché manca appunto l’organizzazione. Terza domanda: «Può essere che riducendo il numero dei manager si abbassi la qualità dei controlli, come è successo con il vostro direttore generale che nel 2012 ha dovuto dimettersi perché era stata data un notizia non verificata?». Risposta: «Come dimostra il livello di audience, la qualità dell’informazione della Bbc è estremamente alta, e quell’errore del giornalista non è attribuibile alla creazione della newsroom».
Il Corriere della Sera, 26 febbraio 2015
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