ROMA. Il sottosegretario a Palazzo Chigi Graziano Delrio risponde a Laura Boldrini che lamenta il totale disinteresse del governo per i pareri del Parlamento sul Jobs Act e accusa Renzi di essere un uomo solo al comando. «Non esiste un uomo solo al comando. Esiste un leader. Sono due cose differenti. Se la sinistra, e parlo in generale, è spaventata dalla leadership ha un problema di modernità ». Alla minoranza del Pd che annuncia battaglia contro l’Italicum, dice: «Tutto è migliorabile, ma il punto di equilibrio lo abbiamo già raggiunto con il testo votato in Senato». E interviene anche sul partito per assicurare che non nasce una corrente di catto-renziani «come area in cui l’appartenenza conta più del pensiero». Possono nascere invece «luoghi di riflessione leggeri, aperti, quasi disorganizzati per mantenere il collegamento con la società».
A proposito di correnti, la Sinistra dem vi accusa di non avere tenuto conto dei pareri parlamentari sui licenziamenti collettivi, di aver seguito la linea della trojka. In effetti tutti i deputati del Pd, senza distinzioni, vi avevano chiesto di cambiare.
«Ormai l’impostazione era quella. E si teneva con un equilibrio complessivo che per noi era l’unico a garantire la vera efficacia del provvedimento».
La presidente della Camera Boldrini fa capire che così avete umiliato il Parlamento.
«Abbiamo il massimo rispetto del Parlamento, però non rovesciamo la frittata. Il parere non era vincolante, non esisteva alcun obbligo di recepirlo. Il governo quindi ha esercitato un suo pieno diritto ma senza volontà di umiliare le Camere o i sindacati. Con quei decreti pensiamo di aumentare complessivamente l’occupazione per la prima volta dopo anni di perdita. Se ci sbagliamo siamo pronti a correggerci. Siamo convinti tuttavia che attraverso il mix di misure del Jobs Act fra un anno si vedranno dei risultati».
Non c’è invece la tendenza di Renzi a procedere evitando il confronto, a recitare la parte dell’uomo solo al comando come dice la stessa Boldrini?
«Non vedo l’uomo solo al comando. C’è un leader e sono due cose differenti. Se la sinistra è spaventata dalla leadership, e non mi riferisco alla Boldrini parlo in generale, ha un problema di modernità. La sinistra ha bisogno di un leader come lo hanno avuto i grandi partiti storici. Come lo erano De Gasperi e Togliatti, Berlinguer e Moro. Eppoi Matteo non è solo. Ha intorno a sé un gruppo dirigente molto ampio e molto rinnovato. Nella squadra dei ministri, nei sindaci, sui territori. Qualcuno può pensare che non sia all’altezza ma non che non esista».
Un team di fedelissimi?
«E’ libero di non credermi, ma Renzi ascolta una quantità impressionante di persone del mondo del lavoro, dell’impresa, della cultura. Lo fa ogni giorno, è una ginnastica di ascolto che non si vede ma le garantisco, è costante, quotidiana. Non sono fedelissimi».
Vi confronterete con la minoranza sull’Italicum, cambiando i capolista bloccati e dando il premio alla coalizione al ballottaggio?
«L’obiettivo del governo è una buona legge elettorale e al Senato si è raggiunta un’intesa giusta. Proviamo a fare un flash back. L’Italia, un anno fa, era il Paese del caos, delle riforme bloccate, dell’instabilità. Un anno dopo, secondo l’Ocse, siamo il Paese che ha fatto il maggior numero di riforme strutturali e profonde. Eravamo gli osservati speciali dodici mesi fa e ora siamo un Paese guida dell’Eurogruppo, che aiuta a risolvere questioni enormi come la Grecia. Questa nostra credibilità, conquistata anche con il lavoro straordinario del Parlamento, non la manteniamo se si rimette tutto in discussione. Ogni cosa è migliorabile ma in linea di massima, sulla legge elettorale, il punto di equilibrio lo abbiamo già trovato».
Renzi non aveva promesso mai più correnti nel Pd? Sembra che lei e altri ne stiate preparando più di una.
«Con Matteo abbiamo sempre avuto un’idea molto ampia del partito, come di un campo largo, mai organizzato in settori o in correnti come quelle che si sono sempre conosciute».
Cioè?
«Gruppi dirigenti attraverso cui persone interessate trovano spazio e protagonismo solo perché appartengono a un consesso organizzato. Luoghi difensivi di questo genere non devono e non possono esistere nel Pd».
E allora?
«Allora, come avviene nella Cdu e in tutti i grandi partiti europei, si possono creare non aree di potere ma di pensiero. Le correnti vanno rottamate. Luoghi dove la società e i parlamentari riflettono sulle sfide della modernità possono invece avere un ruolo e offrire un contributo al partito».
Se non è zuppa è pan bagnato.
«Non è così. Io penso a iniziative leggere, aperte in cui mai l’appartenenza deve sostituirsi al pensiero. Penso al campo che crearono Moro e Dossetti. Certo non era una corrente a caccia di poltrone ma di profondità e di un rapporto con la vita quotidiana delle persone».
Questi movimenti intorno a Renzi non segnalano uno scontro tra fedelissimi per chi siede alla destra del capo?
«Non cè nessuno scontro nel campo renziano. Vogliamo semmai moltiplicare i contributi e moltiplicare il protagonismo dei parlamentari, dei sindaci e degli amministratori locali. Potrà capitare che qualche volta marceremo divisi per colpire uniti, ma il rischio correntizio non esiste. Per me le correnti sono la morte delle persone libere».
Sul suo cellulare il numero di Renzi è sempre memorizzato come Mosè?
«Sempre. E la nostra Terra promessa è quella dove cè più lavoro, dove ci sono più occupati».
La Repubblica, 22 febbraio 2015
Difendiamo la Costituzione, i diritti e la democrazia, puoi unirti a noi, basta un piccolo contributo