Ammissione, implicita, del ministro della Giustizia Andrea Orlando sul disaccordo in merito al falso in bilancio. Al ministero sono ancora in trattativa: “Stiamo cercando di costruirlo tenendo conto delle dimensioni delle aziende e di ciò che hanno commesso. Non è una concessione a compromessi e neanche una creazione di un’area di iniquità. Ma non possiamo assoggettare alla stessa normativa situazioni diverse, che rischierebbero di avere un aspetto criminogeno”. La dichiarazione del ministro è di quelle che vuole giustificare da un lato la presunta mancanza di soglie di impunità previste in un primo momento (presunte, perché non c’è un testo scritto) e dall’altro rassicurare chi teme un ritorno alla punizione degli evasori perché, sempre il testo ufficioso, dice che le piccole imprese con un fatturato inferiore ai 600 mila euro lordi all’anno rischiano da 1 a 3 anni, quindi prescrizione certa, e le altre, da 2 a 6 anni, se non quotate in Borsa, da 3 a 8, se quotate. Orlando rassicurante forse si rivolgeva ai vertici di Confindustria. Ieri, con un’intervista al Corriere della Sera, la direttrice generale Marcella Panucci (nella foto) ha parlato di “sistema estremamente punitivo”. Si è pure lamentata della eventuale procedibilità d’ufficio e ha paventato, addirittura, lei, ex consigliera economica della ministra della Giustizia Paola Severino, un blocco degli investimenti dei paesi stranieri in Italia. Come se nel resto d’Europa ci fossero le soglie di impunità. Ma non è così. In Gran Bretagna si rischia fino a 7 anni di carcere; in Francia il falso in bilancio è punito fino a 5 anni e una multa fino a 375mila euro. Se il soggetto briga per nascondere le prove, la prescrizione scatta dal momento della scoperta del reato e non più dalla data del fatto; in Germania carcere fino a 3 anni in alternativa alla multa, secondo il principio della “fiducia collettiva nell’esattezza di specifiche, importanti, dichiarazioni”. Ma per Panucci un buon sistema è quello delle “soglie percentuali” di impunità. Antonella Mascali
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